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 2016  ottobre 11 Martedì calendario

Hohenstein-Ricordi, la macchina 
al servizio del belcanto

Il manifesto realizzato alla fine del 1895 per La Bohème di Puccini è una delle prime prove da grafico pubblicitario di un artista che si sarebbe imposto come un padre del cartellonismo italiano. Anche se italiano non era. Nato nel ’54 a Pietroburgo da una famiglia tedesca (il padre era un ingegnere forestale costretto dal lavoro a frequenti trasferimenti), Adolf Hohenstein fin da bambino aveva vissuto e poi si era formato a Vienna. Dopo essersi spinto fino nell’esotico Siam, a dipingere palazzi di principi e ritrarre il re (che, amava raccontare, lo aveva ricompensato con un carretto di monete d’argento), intorno ai trent’anni era arrivato a Milano. E qui aveva scoperto la sua nuova vocazione: quella di scenografo.
L’esordio è del 1884 con Le Villi, la prima opera di Puccini: un battesimo per entrambi, l’inizio di una collaborazione che abbraccerà un ventennio, fino alla Madama Butterfly del 1904. Hohenstein – nel frattempo assunto da Giulio Ricordi nelle sue Officine Grafiche, di cui diventa ben presto direttore artistico – disegna senza posa scene e costumi per l’opera. In qualche caso – Edgar di Puccini, La Wally di Catalani, Falstaff di Verdi 
- realizza anche i manifesti, ma si tratta ancora di lavori privi di originalità, ingessati nella rigida grafica pubblicitaria degli albori.

La svolta è rappresentata dalla Bohème: prima la locandina, realizzata per la pubblicazione a puntate del romanzo di Henri (scritto sbagliato, con la y) Murger, poi il manifesto, differente solo nel formato. Pur nel palese richiamo alla lezione del grande Jules Chéret, l’inventore della tecnica cromolitografica – evidente nel dinamismo sfrenato, nell’integrazione di immagine e lettering, nel gioco delle figure che scavalcano il piano del manifesto – ritroviamo qui in nuce alcuni elementi che saranno sviluppati e affinati nella produzione successiva dell’artista.

Per una decina d’anni, fino a quando intorno al 1906 tornerà in Germania e alla pittura, Hohenstein si dedica con passione all’arte dell’affiche, spaziando nei più diversi campi pubblicitari e mescolando alle giovanili reminiscenze di Scapigliatura le suggestioni del Simbolismo e l’esplosione floreale del Liberty. Al volgere del secolo è uno dei tre soli italiani a conoscere l’onore di essere inseriti nella selezione della rivista specializzata francese Les maîtres de l’affiche (gli altri due sono Giovanni Maria Mataloni e Giuseppe Boano, quest’ultimo – vedi caso – proprio per il Teatro Regio di Torino).

Oltre al manifesto, Hohenstein realizza per La Bohème quattro tavole di attrezzeria, tre bozzetti e 62 costumi: non figurini anonimi, ma veri e propri ritratti in cui è possibile ravvisare personaggi noti, come il «grasso borghese», il «sardonico studente» e il «maestoso veterano» riprodotti sul numero del 13 febbraio 1896 della Gazzetta musicale di Milano, la rivista di Casa Ricordi, in cui si riconoscono rispettivamente lo stesso Puccini e i due librettisti Illica e Giacosa.

Ormai le commissioni per la lirica non vengono più dai teatri, ma direttamente dall’editore musicale che si fa impresario – nel nostro caso Giulio Ricordi, il più importante dell’epoca. Con lui e con Hohenstein, che nel 1889 era stato mandato a Bayreuth assieme a Puccini, a studiare la complessa macchina teatrale-promozionale wagneriana, il lancio delle nuove produzioni è accompagnato e sostenuto da una campagna di comunicazione tambureggiante a colpi di manifesti, locandine, cartoline postali, libretti, annunci, recensioni. Mancavano i trailer, ma la televisione non era ancora stata inventata.