la Repubblica, 11 ottobre 2016
Badante o cameriere, nuova vita con i robot
AMSTERDAM Un bambino al quale bisogna insegnare tutto, con la promessa che prima o poi ti ripagherà. Alto un metro e venti, cinquanta chili di peso, è per metà fatto di plastica. L’altra metà invece è un alternarsi di fibra di carbonio, metallo, circuiti. R1, l’ultimo robot dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova, inclina la testa e osserva la palla che abbiamo in mano con gli occhi fatti di led luminosi. «Palla», dice. Proviamo con un joypad per consolle. Gli chiediamo cos’è. Lui lo segue con lo sguardo, esita, poi: «Joypad». Siamo ad Amsterdam, dove è in corso la Gpu Technology Conference Europe di Nvidia. La vista e l’udito di R1, che qui ha fatto la sua prima apparizione pubblica, sono gestiti da una loro scheda. Gli serve per i suoi sensi reattivi, per riconoscere cose e volti, muoversi fra i corridoi di ospedali, aeroporti e abitazioni assistendo malati, passeggeri e anziani. Anche se si fa fatica a immaginare che un “bambino” del genere possa davvero perdersi cura di qualcuno. «È solo un prototipo», assicura Giorgio Metta, a capo del progetto all’Iit. «Il modello finale avrà un’intelligenza artificiale in buona parte residente nel cloud. E poi la tecnica dell’apprendimento delle macchine funziona così: migliora mentre impara». Fra un anno circa R1 arriverà sul mercato, il prezzo sarà quello di un’utilitaria, ma l’obbiettivo è ridurre i costi a poche miglia di euro. Nel frattempo lo si potrà vedere alla Maker Faire, che apre a Roma venerdì.
Non è il solo in Italia. C’è anche Robot- Era, il progetto coordinato da Paolo Dario, direttore dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Assieme a R1 rischiano però di arrivare in ritardo in un mercato che già è decollato. Soprattutto in Paesi dove l’età media non fa che crescere assieme alla stretta sull’immigrazione. In Giappone le persone con più di sessantacinque anni sono il 25 per cento della popolazione, diverranno il 39 nel 2050 stando all’Istituto di statistica giapponese. Servirebbero quattro milioni di assistenti per le persone anziane, lavoro svolto da badanti stranieri. Peccato che vengano concessi solo cinquantamila permessi di lavoro l’anno. L’Italia è sulla stessa strada: il 21,9 per cento della popolazione ha più di sessantacinque anni e abbiamo 830 mila assistenti familiari. Si spiega in parte così il successo a Tokyo e dintorni di Pepper, umanoide di SoftBank sviluppato dalla francese Aldebaran. Lanciato nel 2014, ne hanno venduti 10 mila. Costa 1.500 euro. Può svolgere ventotto diversi compiti ed è gestito via web da Watson, l’intelligenza artificiale della Ibm. Ricorda quando prendere le medicine, può funzionare da tramite fra parenti e assistito, fare da receptionist, sorvegliante, portantino, dare informazioni nei negozi. Entro l’anno arriverà negli Stati Uniti. Poi nel 2017, sempre in Giappone, la Toyota lancerà il Kirobo Mini a poco più di 300 euro. “Robot da compagnia”, lo chiamano, che studierà le nostre reazioni al volante assistendoci, considerando che trascorriamo in media 4,3 anni della nostra vita all’interno di un’auto. Ma il Giappone è la patria (fra gli altri) di Asimo della Honda. Colpisce di più che nel resto del mondo si siano mossi tanti se non tutti. Dalle consegne della spesa operate a in mezza Europa dal droide a guida autonoma della Starship, al progetto pilota di Singapore finanziato dal governo per i robot camerieri. Fino a Leo che porta i bagagli all’aeroporto di Ginevra e all’Hilton McLean, vicino Washington, che sta provando Connie, dotato anche lui di intelligenza Ibm, per accogliere gli ospiti. «Ma il nostro sarà open source e chiunque potrà sviluppare delle app per R1e fargli svolgere compiti diversi», fanno notare dall’Iit. In effetti l’app per robot ancora non si era vista.