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 2016  ottobre 11 Martedì calendario

Nell’universo di Zandomeneghi, l’«Italien» dell’Impressionismo

Parigi 1885, place Pigalle angolo rue de la Rochefoucauld. Entrati al Café Nouvelle Athènes, Federico e Suzanne raggiungono il solito tavolino in fondo ad una delle sale, dove un grande specchio riflette, assieme ai lampadari rotondi, buona parte del viso dell’uomo, sin dove la barba a corona s’interrompe sulle labbra. L’acconciatura sulla nuca della donna, invece, è così vicina allo specchio che talvolta sembra sfiorarlo e diventare tutt’uno.
Federico, veneziano, di cognome fa Zandomeneghi. Ha 44 anni e da una decina s’è trasferito nella Ville Lumiére, dove, assieme a De Nittis e Boldini, fa parte degli «Italiens de Paris». Frequenta il gruppo degli Impressionisti con i quali espone nelle collettive del movimento. I suoi amici? Renoir, Degas, Pissarro, Toulouse-Lautrec. Per vivere fa anche il disegnatore per giornali di moda. Suzanne – il cui vero nome è Marie-Clémentine – Valadon è giovanissima: ha 20 anni, da due è già madre (di Maurice Utrillo, futuro pittore) e vive a Montmartre.
Entrambi – anche se ti tiene conto della differenza di età – hanno avuto una vita piuttosto avventurosa. Nato nel 1841 in una famiglia di scultori col culto del Canova – il nonno Luigi, il padre Pietro e lo zio Andrea – Zandomeneghi si dedica alla pittura e studia nelle Accademie di Venezia e Milano. A 19 anni raggiunge Garibaldi per la spedizione dei Mille. Fra il 1865 e il 1871 abbandona Venezia per non essere costretto ad arruolarsi nell’esercito austriaco. Dopo essere stato a Firenze, dove viene cooptato dai Macchiaioli, combatte nella III guerra d’indipendenza. Il conflitto e i continui spostamenti tra Firenze, Venezia e Roma lo avvicinano a una pittura realista. Poi, d’un tratto, senza motivi apparenti e programmi, Federico abbandona l’Italia per Parigi. È il 1874, anno in cui i «rifiutati» del Salone degli Indipendenti espongono nello studio del fotografo Nadal: nasce l’Impressionismo.
La Valadon, invece, ha lavorato come cavallerizza in un circo ma per una caduta è costretta a lasciare. Dopo la sarta e la fioraia, fa la modella (e, in taluni casi, anche l’amante) di Degas, Renoir, Puvis de Chavannes, Toulouse-Lautrec (che la ribattezza Suzanne, come l’omonimo personaggio biblico). Autodidatta, disegna e dipinge: Degas la valorizza come artista. Nel 1894 sarà la prima donna a far parte della Società nazionale delle Belle arti. Quindi, partecipa ai Saloni degli Indipendenti e al Salone d’Autunno.
Federico e Suzanne sono abituali frequentatori del Café Nouvelle Athènes, luogo d’incontro di artisti e letterati. E proprio al locale di Montmartre, Zandomeneghi dedica i due dipinti ( Al caffè Nouvelle Athènes e Coppia al caffè, del 1885) in cui, appunto raffigura se stesso e la Valadon. Se nel primo – con i riflessi all’infinito dei globi – è evidente un certo richiamo al Bar aux Folies-Bergère (1882) di Manet, nel secondo lo «zoom» (si fa per dire) semplifica i particolari amplificando il primo piano. I caffè parigini sono uno dei temi prediletti dai pittori. Ricordate quelli di Repin, Boldini, Gris, Van Gogh e del soggiorno parigino di Munch?
Zandomeneghi muore nel 1917, lo stesso anno dell’amico Degas. Anticipandone di circa un anno il centenario della morte, Padova espone un centinaio di lavori che coprono l’intero iter creativo (Palazzo Zabarella, sino al 29 gennaio), a cura di Francesca Dini e Fernando Mazzocca, autori dei saggi in catalogo (Marsilio), assieme a testi di Alessandro Malinverni ed Elena Catra. Si va dagli esordi più rappresentativi all’avventura parigina: Palazzo Pretorio (1865), Diego Martelli allo scrittoio (1870), Signora nel parco (1871), Impressioni di Roma: i poveri sui gradini del convento di San Gregorio al Celio (1872). Quindi, A pesca sulla Senna e Le Mulin de la Galette (entrambi del 1878), Madre e figlia (1879), Donna al caffè (1882), La lettura (1886), La terrazza (1895), In salotto (1913), Natura morta con mele (1917) e così via.
Rivive la vita moderna di Parigi: locali da ballo, scorci urbani, nudi femminili, interni, nature morte. C’è anche L’ultima occhiata (1895-1900), esposta da Zandomeneghi alla Biennale del 1914. L’opera viene acquistata da Vittorio Emanuele per Ca’ Pesaro. La personale alla Biennale avrebbe dovuto rappresentare una sorta di ritorno ideale di Federico dopo la «fuga» parigina del 1874, ma Enrico Thovez la stronca. Sostiene che la pittura dell’artista veneziano ha un po’ troppo di Renoir. E lui Renoir non può proprio soffrirlo.