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 2016  ottobre 08 Sabato calendario

Cosa rischia la Deutche Bank?


Nel clima di tensione legato al rischio di una maxi-multa da parte del Dipartimento della Giustizia Usa e al colpo inferto al core business dei prestiti da tassi di interesse rasoterra e crescita economica debole, da inizio anno il titolo Deutsche Bank  ha perso oltre il 48%. Alcuni analisti temono anche l’esposizione della banca tedesca ai derivati e la nutrita presenza di attività difficili da valutare che ne popola i libri contabili.
Ma Deutsche Bank  quanto è vulnerabile ai derivati? Dalla relazione 2015 emerge un’esposizione di 41.940 mila miliardi di euro. Per dare un’idea, lo stesso anno il pil tedesco era 3.032 mila miliardi. Tuttavia tale indicazione può essere fuorviante poiché considera il valore nozionale dei contratti derivati. Per esempio, il valore nozionale di uno swap sui tassi di interesse può essere grande, ma il derivato reale può coprire solo piccoli pagamenti di interessi per entrambe le parti, il che riduce decisamente il rischio rispetto a quanto indicato dalle cifre. Pertanto l’esposizione potrebbe essere notevolmente inferiore rispetto al valore del derivato. Inoltre molti contratti derivati hanno un massimale sulla perdita. Peraltro, la maggior parte dei derivati cui l’istituto guidato da John Cryan è esposto non è eccessivamente complessa: il 78% consente la copertura dai rischi di oscillazione nei tassi di interesse. E l’esposizione è in calo rispetto al picco di 59.195 mila miliardi registrato nel 2011, al culmine della crisi dell’euro.
Allora qual è il problema? Per quanto la massa di derivati possa avere una consistenza inferiore rispetto al «numerone» citato dai giornali, Deutsche Bank  poggia su una montagna di asset difficili da valutare in un momento in cui agli investitori non servono tante scuse per scaricare azioni. L’incognita sta gli asset level 3, come i derivati complessi e le sofferenze. Rispetto ad altri istituti, Deutsche Banl detiene una quantità maggiore di asset level 3 rispetto al common equity tier 1. Gli analisti di Jp Morgan stimano un carico di level 3 al 72% degli asset Tier 1 a fronte di una media del 38% tra le 12 principali banche mondiali. Tale differenza è parzialmente dovuta ai derivati. A fine 2015 la banca sedeva su 10,2 miliardi di dollari di derivati illiquidi rispetto agli 8 miliardi di Barclays e ai 5,9 di Goldman Sachs. Peraltro, in merito alle attività non liquide gli investitori devono fare affidamento in larga misura su valutazioni interne che, rimarca S&P Global Ratings, «potrebbero essere influenzate dal deterioramento degli assunti di base».
C’è da preoccuparsi? Il fatto che queste attività illiquide siano più difficili da valutare alimenta la preoccupazione nel momento in cui una banca è schiacciata dal mercato. Secondo David Hendler di Viola Risk Advisors, il colosso tedesco sta sviluppando un «profilo in stile Lehman» e gli asset level 3 rappresentano un notevole rischio per la dotazione patrimoniale, vista la depressione degli utili dell’istituto. Ad ogni modo, tanti altri analisti non si lasciano prendere dal panico. «Il coefficiente di capitale, il rapporto di leverage e la qualità degli attivi di Deutsche Bank  tengono già maggiormente conto dei rischi legati ai derivati che in passato», dice Simon Adamson, amministratore delegato della società di ricerca CreditSights. Ubs sottolinea che Deutsche Bank  può contare su 223 miliardi di euro in riserve di liquidità, ossia contanti, disponibilità liquide e titoli con un elevato grado di liquidità. E il suo indice di copertura della liquidità è superiore del 24% rispetto al requisito minimo. Come per i derivati, gli asset level 3 sono generalmente una percentuale molto inferiore dell’attività della banca rispetto a un tempo. Nel secondo trimestre erano pari a 28,9 miliardi contro gli 88 miliardi del 2007.
Quindi il sell-off non ha a che fare con i derivati? Non esattamente. Esistono preoccupazioni maggiori, come la possibile multa Usa da 14 miliardi di dollari per i mutui subprime. Molti osservatori prevedono una sanzione inferiore, ma la questione va ad aggravare il contesto di stress in un periodo in cui le prospettive di guadagno della banca appaiono desolanti. Stando a FactSet, l’utile per azione atteso per le banche dell’Eurozona è in ribasso del 75% rispetto al picco di inizio 2008. Una proiezione negativa sugli utili rende le azioni dell’istituto poco attraenti, affossando la quotazione e aumentando i costi di un eventuale aumento di capitale. In sintesi, la paura di un angolo oscuro che si annida nel business dei derivati della banca non aiuta il colosso tedesco nel momento in cui è impegnato a cercare di placare le ansie degli investitori.