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 2016  ottobre 10 Lunedì calendario

Banche, dalla Germania all’Italia servono capitali per 46 miliardi. E con l’arrivo di Basilea-4 le richieste aumenteranno

Una montagna di soldi, alta fino a 46 miliardi di euro. Un’enormità. Ma è questo il panorama che si è venuto a formare davanti ad alcuni tra i principali istituti di credito europei. Non più solo italiani, ma anche della solida Germania, che oggi deve mitigare la sua vocazione all’insegnamento con un bagno di umiltà e una potente calcolatrice. Dopo aver rasato l’erba sui prati inglesi, francesi, spagnoli e, più volte, su quelli italiani a quanto ammonta oggi la necessità di nuovo capitale per sostenere le banche tedesche? Nella totale opacità che circonda il cuore del sistema teutonico del credito – ovvero le landesbank , gli istituti regionali – una cifra si può azzardare, si avvicina a 20-25 miliardi di euro. Altrettanti potrebbero servire in Italia tra Unicredit, Mps e le più piccole. Ed ecco i 46 miliardi, un totale che con i 60 già versati porterà a 86 miliardi il solo contro dell’Italia. In Germania i conti restano nascosti, ma il sistema scricchiola. Non è un caso che Berlino stia trattando con Washington per ridurre la multa da 14 miliardi che gli Stati Uniti hanno comminato a Deutsche Bank. La sanzione ha aperto uno squarcio nella diga di credibilità e sostenibilità dell’istituto tedesco.

BilanciDeutsche Bank da inizio anno ha perso la metà del proprio valore in Borsa e a bilancio ha iniziato ad iscrivere perdite. Il gruppo tedesco è cresciuto molto negli anni, ed ha una presenza molto diffusa fuori dai confini tedeschi. Non solo in Italia, dove la Spa è guidata da Flavio Valeri, ma soprattutto nel Far East, sui mercati a maggior tasso di sviluppo. Accompagnando le imprese non solo tedesche a caccia di new business, Deutsche Bank si è costruita negli ultimi decenni una credibilità internazionale che adesso la multa americana mette in dubbio. È solo il nuovo capitolo di una guerra economica che si combatte tra i due lati dell’Atlantico o i 42 mila miliardi di euro in prodotti derivati che gravano sui bilanci di Deutsche Bank sono davvero un pericolo per l’intera economia europea? Davide Serra, fondatore del fondo Algebris, non ha dubbi: il rischio sistemico non esiste, nonostante le preoccupazioni del Fondo monetario internazionale. E questo perché tecnicamente quelle posizioni in derivati sono «matching di controparti» e quindi il rischio netto è nullo, mentre è consistente l’eccesso di liquidità presente nelle casse della banca di Francoforte: 220 miliardi di euro. Una cifra enorme che allontana quanti temono il peggio, ma non il ridisegno del perimetro d’azione di Deutsche Bank che con il ceo John Cryan deve ora affrontare una robusta cura dimagrante e un taglio dei costi molto in profondità. Ma la Germania non è solo Deutsche Bank. La seconda banca tedesca, Commerzbank, è crollata in Borsa sulla spinta dei risultati negativi di bilancio. Da inizio anno ha perso il 35 per cento del valore ed è trapelata la necessità di tagliare il 20 per cento della forza lavoro – 9 mila dipendenti – per assicurare un futuro all’istituto. Martin Zielke, che guida Commerzbank dallo scorso maggio, ha poi annunciato il taglio del dividendo che il suo predecessore aveva appena reintrodotto. Commerzbank balbetta, c’è addirittura chi prospetta una fusione con Deutsche Bank al motto di Too big to fail ... Difficile crederlo. Anche perché i guai del credito tedesco sono sotto il tappeto dell’osservazione internazionale, sono tra le banche locali che il governo federale e la Bundeskank hanno sempre saputo tenere lontano dalle regole di capitalizzazione e trasparenza imposte – anche dai tedeschi – al resto d’Europa. Il caso della Hsh Nordbank ha fatto scuola (vedi Corriere Economia del 23 maggio 2016): la piccola banca è stata salvata con i soldi dei contribuenti di Berlino senza che nessuna tra le molteplici severe istituzioni europee rilevassero alcunché di irregolare. Ma ora si devono fare i conti con la realtà.

La parita europea
Di quanto capitale necessita Commerzbank? Secondo alcuni osservatori potrebbero essere necessari 3 miliardi, una decina sarebbero richiesti da Deutsche, altrettanti andrebbero spalmati tra le molte boccheggianti banche locali. Il totale supera ampiamente quota 20 miliardi di euro. A questa non banale iniezione di capitale si aggiunge il capitolo italiano. Era il luglio scorso quando Goldman Sachs se ne uscì con un report sulle banche italiane indicando in 38 miliardi di euro la necessità di nuovo capitale. Una ipotesi di scuola legata al peso che gli Npl, ovvero i crediti deteriorati, hanno ancora sui bilanci di tutte le banche italiane. Ma il problema rimane. Dall’inizio della crisi - settembre 2008 - le banche italiane hanno effettuato iniezioni di capitale per circa 60 miliardi di euro. Si va dai 20,15 miliardi del Monte dei Paschi ai 5,5 del Banco Popolare; dai 5 miliardi di Intesa Sanpaolo ai 15 (in aumento) di Unicredit; dai 2 miliardi di Carige e Veneto Banca ai 3 della Popolare di Vicenza, all’1,3 della Popolare di Milano. Più tutte le altre, compresi i 3,6 miliardi necessari a tenere in vita Banca Marche, Popolare Etruria, CariFerrara, CariChieti. Ora l’ennesimo giro. Ai 5 miliardi di Siena si aggiunge Unicredit (8-13 miliardi la forchetta, che Jean-Pierre Mustier vuole stringere vendendo il possibile), più tutte le altre che si sforzano di stare sotto il tappeto, ma che sono destinate a fare i conti con una realtà profondamente cambiata.