Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  ottobre 10 Lunedì calendario

Frodi e controlli in ritardo: il business del grano finto biologico

Una montagna di grano non biologico, circa 570 tonnellate, venduta come bio e trasformata in pasta, è finita sulle tavole di milioni di ignari consumatori in Stati Uniti, Germania, Italia e anche in altri Paesi Ue.

Da qui parte l’inchiesta di Report che va in onda stasera alle 21.30 su Rai3: il servizio, intitolato «Bioillogico», è stato curato da Bernardo Iovene. La conduttrice di Report , Milena Gabanelli, ricorda che per riconoscere un prodotto davvero biologico «c’è una scritta sulla confezione. Ma soprattutto è certificato, con un marchio europeo, e quello dell’ente che ha verificato che la materia prima è quella dichiarata. Ce ne sono 14 di società che certificano, ma è un mondo che perfetto non è...». Infatti a San Paolo di Civitate, in provincia di Foggia, Iovene racconta che a ottobre 2015 un produttore, Massimo Liuzzi, da un giorno all’altro avrebbe aumentato i suoi terreni, grazie un certificato che secondo gli inquirenti è stato falsificato, da 11 a 675 ettari, arrivando a produrre non 50 tonnellate di grano duro convenzionale, ma ben 10.500. E dove erano gli enti che dovevano certificare? «Si sono accorti della contraffazione con sei mesi di ritardo — spiega il giornalista di Report —. Ma a causa della lentezza degli enti, quando è scoppiata la frode il grano era già diventato pasta, era stato pure venduto e mangiato». A essere stati coinvolti, loro malgrado, sono i quattro mulini italiani più grandi tra quelli specializzati in biologico. Alla fine soltanto il 5% del prodotto è stato ritirato dal mercato con un danno di 700 mila euro: «Se avessi dovuto richiamare tutto — spiega con imbarazzo Silvio Grassi del Mulino Grassi di Parma — avrei avuto un danno 20 volte maggiore. Sono 14 milioni... cioè avrei chiuso».

Altro caso emblematico: nel porto di Ravenna la magistratura scopre 2 mila tonnellate di granaglie, provenienti da India, Kazakistan, Ucraina e Moldavia: triangolando da Malta e Romania, come per incanto, la merce diventa biologica al suo arrivo in Italia. Altro che bio: dentro il grano ci sono pure «pesticidi e sostanze tossiche in maniera intensiva», rivela la Guarda di Finanza. Iovene scopre inoltre che a volte gli enti che devono certificare i prodotti bio sono di proprietà di consorzi di imprese «che sono composti dalle stesse aziende che vengono certificate — sottolinea Milena Gabanelli —. La frode in situazione di conflitto di interessi potrebbe essere materia per il commissario europeo Vestager».