la Repubblica, 8 ottobre 2016
Sui neologismi – Rimborsopoli, Scontrinopoli, Spese pazze, Mutande verdi — che bisognerebbe poi sottoporre a un paio di gradi di giudizio. Vedi casi Marino e Cota
Un calendario decisamente super-partes ha deciso che Ignazio Marino (sinistra) e Roberto Cota (destra) venissero prosciolti lo stesso giorno da accuse molto simili: avere usato denaro pubblico per i propri comodi. Bisognerebbe, adesso, che qualche volonteroso centro studi, o qualche laureando con molta voglia di sgobbare, mettesse su una metaforica bilancia (identica alla stadera a due piatti che è il simbolo della giustizia) due pesi: il peso mediatico dello scandalo nel suo divampare, e il peso mediatico del proscioglimento. La stadera si ribalterebbe per la strabiliante sproporzione tra il clamore prodotto da un’accusa e il bisbiglio che accompagna lo scagionamento.
Non si tratta di essere garantisti o forcaioli, secondo lo stucchevole cliché che ci accompagna da un trentennio. Si tratterebbe solo di essere normali. Normale come – per esempio – la sentenza di Torino, che di una ventina di imputati metà ne assolve e metà ne condanna, a conferma che non si indaga sul nulla, che c’era sostanza nell’inchiesta, ma che bisogna poi aspettare le sentenze, perché le responsabilità sono individuali e non esistono inchieste per comitive. Nel frattempo se ne avvantaggia la produzione di pittoreschi neologismi – Rimborsopoli, Scontrinopoli, Spese pazze, Mutande verdi – che bisognerebbe poi sottoporre, anche loro, a un paio di gradi di giudizio.