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 2016  ottobre 07 Venerdì calendario

Ritratto di Walter Sabatini

Magari ora andrà in vacanza, Fabiola aspetta da chissà quanto. O forse rileggerà per l’ennesima volta qualche riga di Gabriel Garcia Marquez, «che mi fa sentire in armonia con l’universo». Oppure tornerà a dipingere, perché Walter Sabatini, fino una quindicina d’anni fa, alternava le sue sigarette con le pennellate su tela. Molto più semplicemente, quello che da ieri non è più ufficialmente il direttore sportivo della Roma – ma non dubitate, a Trigoria la sua voce rauca rimbomberà ancora a lungo – si godrà suo figlio Santiago, «perché la mia vita ha avuto e avrà un valore per lui».
Sabatini si è tolto un peso grande così. Ai suoi uomini aveva comunicato l’intenzione di mollare da almeno un paio di settimane. Stavolta nessun passo indietro. O forse mille in avanti. È stato l’uomo operativo della Roma Usa che lo scorso inverno per lui è diventata Usa e getta. A Trigoria aveva tre uffici: in quello principale una tv sempre accesa sui canali satellitari, un computer fisso su Wyscout, una stecca (almeno) di sigarette e un mucchio alto così di mail stampate e non lette. Moderno nella testa: in Italia fu il primo a capire che non si poteva giocare una battaglia contro l’avanzare del potere dei procuratori, tanto valeva la pena accarezzarne i pregi non curandosi dei difetti. Che lui riconosceva: spesso, alla fine di una sessione di mercato, si concedeva una serata al cinema, come per depurarsi. Due anni fa, per dire, andò a vedere «Il giovane favoloso» di Mario Martone. A Roma lo portò Franco Baldini, nel 2011: un ufficio a piazza Cavour, poi il quarter generale allo studio Tonucci e quelli ufficiosi al «Bolognese» a piazza del Popolo e allo «Shangri-La» all’Eur.
Contraddittorio, affascinante, idealista, curioso come pochi: questo è Sabatini, quello del Totti e il tramonto, del Benatia e l’agente menestrello, del “qui in Italia c’è solo un giovane di valore, Bernardeschi”. Quello che un giorno chiama Veltroni per complimentarsi del libro su Berlinguer. Che ama Dostoevskij, Monet e gli impressionisti oltre a Caravaggio. Su Whatsapp, perché nel frattempo il telefono è diventato un po’ meno nemico, durante l’estate aggiornava il profilo con un quadro diverso a seconda dell’umore, chissà, forse di una trattativa. Quattro giorni fa ricorreva il 40° anniversario dell’esordio in A con la Roma: «Ero tecnicamente formidabile, ma non avevo la testa», ama ricordare lui. Dirigente lo inventò Gaucci, poi arrivò la Lazio ma nell’ombra, perché in ballo c’era ancora una squalifica di 5 anni per tratta dei minori da scontare. Lotito, Zamparini, Pallotta: di molti è stato la fortuna, nessuno inviterebbe a cena. Milan e Inter lo hanno cercato negli ultimi mesi. Lui da lunedì su Whatsapp ha piazzato la foto dei giocatori della Roma che esultano al gol di Manolas con l’Inter: è un saluto, forse anche un promemoria.