la Repubblica, 7 ottobre 2016
Perché clicchiamo sulle immagini «che non si dovrebbero mostrare»
Quando qualcuno riprende e posta in rete scene che non è elegante riprendere e postare in rete (per esempio: una coppia in overdose di eroina che stramazza per la strada negli Usa), sono una moltitudine i media, in tutto il mondo, che rilanciano quelle immagini, generalmente con un severo commento nei confronti di chi le ha riprese e postate in rete. In altre parole: ora vi facciamo vedere qualcosa che secondo noi è veramente sbagliato far vedere. Questo mi ricorda una vecchia gag dell’avanspettacolo. Un signore vede un omone che prende a schiaffi un bambino. Affronta l’omone e gli dice: «Riprovaci, se hai il coraggio». L’omone assesta un altro ceffone al bambino. Il signore ripete: «Riprovaci, se hai il coraggio». E quello schiaffeggia ancora il bambino. Allora il ragazzino dice al signore: «La smetta, per piacere, se no questo mi fa una faccia così». Più la nostra vita diventa mediatica, moltiplicando a dismisura parole e immagini, più aumenta l’urgenza di scegliere: soprattutto noi pubblico, perché spesso il primo a cliccare le immagini “che non si dovrebbero mostrare” sono io. Ma le dita e gli occhi sono troppo veloci per il cervello. La compulsività non lascia tempo alle decisioni: decidere è un costo che non possiamo più permetterci?