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 2016  ottobre 07 Venerdì calendario

Storia di Andrea Bocelli e di sua moglie Veronica

«Andrea solo dando la mano ad una donna riesce a capirne l’età. Può sbagliare di qualche anno, giusto con le asiatiche, che hanno una cura della pelle diversa dalla nostra, che la massacriamo al sole». Veronica Berti, 35 anni, quando ha stretto per la prima volta la mano di Andrea Bocelli aveva 20 anni. E una volta tanto, lui ha sbagliato. «Ci siamo messi a parlare, conosceva l’Opera meglio di me, aveva già letto alcuni libri importanti: pensai, mamma mia che ragazza colta, avrà una trentina d’anni», racconta lui. «Invece era giovanissima e dico la verità, non ho fatto pensieri poetici quella sera, ma terra terra... sì, è stato subito amore». Anzi, come gli piace dire con ironia, è stato «amore a prima vista».
La torta Prima di quella festa (dove nessuno dei due avrebbe voluto andare), Andrea Bocelli è già una star internazionale, è appena separato e vive come Don Giovanni. «In quel periodo sono stato un brutalissimo libertino: per natura non mi precludo nulla, vivo di curiosità e slanci. Ma i ricordi di quel periodo sono di inquietudine, avevo una cosa e ne volevo subito un’altra». 
Veronica, alla famosa festa, vaga qua e là: passa davanti al pianoforte e suona due note. L’ingegnere del suono si avvicina, convinto che sia la pianista della serata. «Chiarito l’equivoco mi chiede: “stasera canta il Maestro Bocelli, lo vuole conoscere?” E perché no, dico io. A fine serata io e Andrea ci stringiamo la mano e non ci lasciamo più». La differenza d’età, da limite, diventa un’alleata. «A vent’anni non pensi a nulla, è la chimica che parla per te. Era corteggiato e non lo sapevo, ma non mi sarei sorpresa: l’uomo che piace, piace a tutte. Com’è quel detto? Meglio una torta in due che una schifezza da soli. Ecco, io ho cambiato le regole: ho voluto la torta, e solo per me». 
La «comandina» Per la mamma di Andrea, «Veronica è il sole che rientra in casa». Per il papà di Veronica («appassionato di matematica e fisica, si cuciva le scarpe da solo e mi ha cresciuto con la lirica»), quello di Andrea e della figlia è un incontro di anime. «È questa la chiave – dice Bocelli -, due esseri umani, se non si incontrano come anime, non vanno lontano. La bellezza per me è fatta anche di bontà, poi ovviamente c’è l’attrazione: sono stato vedente fino all’età di 12 anni e se poso una mano su una cosa o una persona, per esperienza visiva, posso dargli i colori e i giusti profili. Il volto dei miei figli e quello di Veronica, lo conosco meglio io degli altri». 
La famiglia che costruiscono è la quadratura del cerchio: Amos e Matteo, i figli avuti dal primo matrimonio di Bocelli, crescono con una giovanissima matrigna a cui chiedono ancora oggi consigli. «Sono un’accentratrice, propongo e risolvo, amo tenere tutto sotto controllo. Il problema vero, per me, è demandare. Sono una figura da backstage, organizzo, il palco è per mio marito. Ho il carattere da “comandina”, ma la decisione finale è sempre di Andrea: sono io che lo inseguo, e che vorrei poter andare a cavallo di notte o lanciarmi dal paracadute a 3000 metri, come fa lui. Preferisco essere compagna, che moglie: io mi metto in gioco ogni giorno, la moglie è uno status pigro». Nel 2012, nasce Virginia e mette tutti nel sacco. Bocelli per primo. «Avrei preferito un terzo maschio: ero spaventato da una figlia femmina. Adesso guardiamo la partita insieme». Per Veronica è un copione diverso, da imparare in fretta. «La femmina è una cosa a sé: vivacissima. Sono stata più brava a crescere gli altri figli, con lei mi sento poco preparata». Da vicepresidente della Fondazione Bocelli, Veronica è spesso in giro per il mondo. «Ma non ho mai pensato di smettere. Non sarei brava a fare solo la moglie e la mamma, anzi, rimpiango di non avere la forza di farlo: per quel tipo di scelte ci vuole una precisa determinazione, che a me manca. Sono un’operaia con il caschetto sempre in testa». 
Pavarotti«Il mio primo pubblico è stata la famiglia: avrò avuto 8-9 anni, ricordo il camino con due gradini e io sopra che canto “O Sole Mio”». Ma Bocelli capisce che la sua voce è davvero diversa quando si esibisce davanti ai compagni di scuola. «Prima che iniziassi c’era un gran fracasso: dopo, il silenzio totale. Fu imbarazzante zittire un collegio di maschi». È Pavarotti a insegnargli i trucchi per la longevità. «Avevo la sensazione che amasse davvero la mia voce, la conferma l’ho avuta quando mi ha chiesto di cantare al suo matrimonio. Mi ha parlato per primo di tecnica di canto, diceva: se continui così tra dieci anni non ce la fai più... “Andrea non spingere! Non gridare!». Il lato brutto della fama è la vita privata, che diventa pubblica. «A rendere scabroso il mondo è l’invidia: le tragedie greche nascondo da questa parola, hybris, l’orgoglio. L’ammirazione è silenziosa, l’invidia parla: tutti pensano di meritare di più, ma il valore di un uomo si misura nella capacità di calmare il proprio ego. Ai miei figli, per difendersi, dico di farsi una cultura e di scegliere a chi dare le redini della vita. Io a capo ho messo la fede».
Asciugamani e miele Lo scorso 15 settembre al Lincoln Center di New York il coro di voci bianche di Haiti, nato per volontà di Andrea e Veronica, ha cantato con Bocelli, dimostrando come l’arte possa superare le disuguaglianze. «Se non si fa del bene la vita non ha senso», dice Bocelli, che nel 2011 ha creato la Andrea Bocelli Foundation, impegnata in progetti umanitari. «Andrea è di cuore, umile, il suo rider è da antidivo: in camerino non chiede fiori esotici o pareti ridipinte, solo asciugamani e miele. È stato un amico a suggerirci di creare una struttura intorno alla beneficienza che abbiamo sempre fatto. Sbandierare le nostre cose non è da noi: mio marito ha aperto con «Nessun Dorma» l’Assemblea Generale della Nazioni Unite, fatto mai successo prima, e non lo ha saputo nessuno. Io lo seguo, aiuto, suggerisco. Se non avesse incontrato me? Sarebbe sempre lui... solo più incasinato».