Corriere della Sera, 7 ottobre 2016
Il figlio della coppia dell’acido va dato subito in adozione
La coppia ha vissuto dentro una «tensione perversa», il legame è stato «fondamentalmente malefico», la relazione «distruttiva», tra pulsioni di sopraffazione e dominio. All’interno di questa coppia, la donna (Martina Levato) che aveva tradito il proprio uomo (Alexander Boettcher) doveva espiare le proprie colpe punendo i suoi ex amanti «per essere degna di avere un figlio» da lui: così hanno concepito un bambino nell’intervallo tra due aggressioni con l’acido, che hanno sfigurato due ragazzi. Non è stata dunque una coincidenza di tempo, in qualche modo casuale, ma la Levato ha «subordinato il suo progetto di diventare madre al programma criminale», senza curarsi delle conseguenze, di un possibile arresto, dei pericoli anche per il piccolo, che portava già con sé mentre con Boettcher si appostava nelle notti di Milano per «colpire i suoi obiettivi».
Ecco, è a partire da quell’orrore originario che i giudici del Tribunale per i minorenni sviluppano la sentenza depositata ieri: il bambino della coppia dell’acido dovrà essere dato in adozione a una famiglia estranea, i nonni non sono in alcun modo adeguati a prendersene cura, e va così immediatamente sospeso ogni rapporto (pur nella forma di incontri «vigilati» in carcere) dell’intera cerchia familiare con il piccolo, nato nell’agosto 2015.
Il pubblico ministero Annamaria Fiorillo aveva chiesto questa soluzione d’urgenza già l’anno scorso, a pochi giorni dalla nascita. C’è voluto invece oltre un anno di approfondimenti per arrivare, alla fine, allo stesso risultato: oggi però sostenuto da una corposa perizia. Pagine che raccontano di due ragazzi (lei ha una condanna totale a 30 anni, lui oltre 40 – non ancora definitive) che non hanno mai mostrato alcun vero senso di colpa, senza alcuna capacità critica di rileggere il proprio passato.
Martina scarica sempre la propria responsabilità su Boettcher che l’ha ispirata e plagiata, «ma – dice in un’audizione – non mi sento di giudicarlo come padre». Secondo i periti, Martina vive «un vuoto» nel suo rapporto col bambino, non riesce a pensare al piccolo «come distinto dai propri interessi», è legata a un «bambino immaginario». Non è però in astratto che i giudici valutano e definiscono i profili psicologici, lo fanno invece per accertare se Martina e Alexander possano fare i genitori: la risposta è un no senza alternative, anche per la «totale assenza di empatia del padre». Il bambino va subito allontanato, altrimenti si troverebbe «a subire traumatismi, lutti non elaborati, segreti, non detti».
Di fatto, in mesi e mesi di colloqui con Martina, Alexander e i loro genitori, e di osservazioni della relazione col bambino, le perite Simona Taccani e Cecilia Ragaini sono arrivate a un giudizio di «inadeguatezza». Perché nessuno ha fatto un lavoro di elaborazione o critica del passato che possa far pensare a un cambiamento a breve, così l’adozione resta, secondo il collegio, l’unica soluzione. Nessuno ha provato ad «ascoltare» il bambino, a mettersi in sintonia con lui, né ha accettato i consigli delle educatrici. E dunque, vicino ai suoi familiari, il piccolo è spesso caduto nel torpore, «ha usato massicciamente l’addormentamento come difesa», per riprendere poi a sorridere e a interagire con le educatrici subito dopo la fine degli incontri. Martina Levato farà probabilmente ricorso contro questa sentenza.