Corriere della Sera, 2 ottobre 2016
La guerra delle lingue nell’Impero degli Asburgo
A Patmos, un’isola del Dodecaneso che appartenne al Regno d’Italia dal 1912 al 1947, si è tenuta una festa popolare durante il mese di agosto. A un italiano che ne chiedeva il motivo, il sindaco ha risposto: «Festeggiamo l’anniversario del ritorno dell’isola alla Grecia, quando finalmente ci fu nuovamente consentito di insegnare la nostra lingua nelle scuole e di parlarla nei locali pubblici». Chissà che senso poteva avere un’azione come quella di «italianizzare» delle popolazioni di una diversa cultura! Se non sbaglio, l’impero austroungarico, spesso definito «accozzaglia di popoli», aveva eretto nel 1909 a Trento una statua in onore di Dante e della cultura italiana.
Franco Cosulich
Milano
Caro Cosulich,
Vi furono effettivamente periodi in cui l’Impero austriaco dette prova di grande attenzione per le diverse identità culturali dei suoi popoli. Dell’inno imperiale, composto da Franz Joseph Haydn nel 1797, circolavano numerose versioni linguistiche fra cui una italiana («Serbi Dio l’austriaco Regno») che fu inno nazionale del Lombardo Veneto sino alla sua scomparsa. È vero, come lei ricorda, che la costruzione del monumento a Dante, inaugurato solennemente a Trento nel 1909, avvenne con il beneplacito delle autorità viennesi. Ma la storia di quella vicenda ha un risvolto che vale la pena di ricordare.
Mentre la capitale dell’impero approvava l’omaggio reso al creatore della lingua italiana, il commissario della polizia di Trento suggeriva a Vienna una linea opposta. Sapeva che i promotori della iniziativa erano irredentisti, temeva che il monumento sarebbe stato usato per proclamare l’italianità della città e auspicarne l’annessione al Regno d’Italia. Non è tutto. Altri due fattori contribuirono in quegli anni a incrinare l’unità dell’Impero. Mentre il nazionalismo italiano voleva estendere i confini della nazione a tutte le terre di lingua italiana (vi fu anche chi pensava al Cantone Ticino), era sempre più evidente, nell’Impero austriaco, l’esistenza di un nazionalismo germanico che pretendeva di esercitare un ruolo egemone sulle altre componenti nazionali dello Stato. I cattolici trentini, per esempio, erano animati da sentimenti di lealtà verso la dinastia asburgica, ma lamentavano la crescente germanizzazione del clero. Contro questo fenomeno Trento chiese a Vienna di essere autorizzata a ospitare una università italiana. Ma la richiesta si scontrò con l’opposizione degli ambienti germanici. Alcide De Gasperi, che rappresentava il Trentino nel Parlamento di Vienna, ne parlò all’imperatore Francesco Giuseppe in occasione di un pranzo ufficiale a Budapest nel 1912. Gli disse che se la questione dell’università avesse fatto buoni progressi, i rapporti con l’Italia sarebbero migliorati. L’imperatore gli rispose: «Ne sono persuaso, ma il Parlamento non lavora: spetta al Parlamento sciogliere definitivamente la questione».
Il secondo fattore interessava soprattutto Trieste e concerneva il rapporto con le popolazioni slave. A Vienna esisteva un partito filoslavo, di cui il maggiore esponente era l’arciduca Francesco Ferdinando (la futura vittima dell’attentato di Sarajevo). I favori riservati da Vienna alla popolazione slovena crearono risentimenti nel gruppo nazionale italiano e contribuirono ad alimentare l’irredentismo di una buona parte della borghesia cittadina.
Come vede, caro Cosulich, nella imbrogliata matassa delle relazioni culturali e linguistiche fra le diverse nazionalità dell’Impero asburgico, è sempre difficile stabilire dove comincino la ragioni degli uni e degli altri.