Il Messaggero, 2 ottobre 2016
Gli schiavi al lavoro dietro all’hight tech
Ci sono le scavatrici e ci sono gli scavatori. I creuseur, alla francese. E gli scavatori sono anche bambini che si infilano nei buchi della terra con le loro piccole dita o attrezzi manuali per grattare dalle pareti i minerali di cobalto, materia prima delle batterie agli ioni di litio che alimentano anche i tuoi e miei smartphone, caro lettore, i nostri laptop, le nostre pulitissime auto green, verdi, cioè elettriche. Dietro le icone della modernità, dietro gli schermi della nostra vita social c’è un universo africano, congolese, di sofferenze minorili e schiavitù adulte, malattie da inalazione del cobalto e, secondo recenti ricerche condotte quasi in segreto da medici congolesi timorosi di ritorsioni delle industrie minerarie, difetti di nascita congeniti.
La denuncia non è nuova, ciclicamente la rilanciano le organizzazioni non governative in difesa dei diritti umani e dei minori. L’ultima dello scorso gennaio: Amnesty International indicava sulla mappa degli abusi minorili la Repubblica democratica del Congo (DRC) nell’Africa centrale, miniera a cielo aperto che procura il 60 per cento del cobalto mondiale, estratto per un quinto da minatori artigianali o informali totalmente privi di qualsiasi protezione, previdenza, tutela, controllo. Fra di loro, 40mila bambini che raspano cobalto a rischio della vita per pagarsi le matite e i quaderni della scuola.
IL REPORTAGE
In un tostissimo reportage denso di cifre e testimonianze a firma dei giornalisti investigativi della Washington Post emerge adesso che nessuno dei problemi segnalati da Amnesty ha trovato soluzione, anzi. Il focus riguarda la catena del cobalto, coraggiosamente ricostruita in tutti passaggi che portano alla commercializzazione e all’impiego industriale del minerale verde, che ha in natura il colore del cioccolato fondente. Passaggi della cui responsabilità ogni singolo anello della catena rimanda a quelli precedenti, fino a un’azienda congolese che colleziona le partite di cobalto in vendita in decine di botteghe di strada, le trasporta coi suoi Tir e li stiva nelle navi verso il mercato perlopiù asiatico.
E asiatici, soprattutto cinesi, sono i trafficanti che comprano il cobalto dai rivenditori spiccioli ai quali li hanno portati gli schiavi di sé stessi, minatori fai-da-te. Così alla fine, da parte delle multinazionali e delle aziende di import-export, si dà sempre la stessa pilatesca risposta: indagheremo, abbiamo investito del problema i nostri partner. Oppure, come dicono gli anelli più vicini alla fonte del minerale a basso costo: non sappiamo come e da chi ci arriva il cobalto.
LA CACCIA
Sicché la responsabilità si scioglie nella miriade di piccoli affaristi porta-a-porta che acquistano la materia prima con banconote, sull’unghia, mentre al minatore resta una miseria fra i 2 e i 4 dollari di ricavo al giorno. La terra del Congo meridionale è talmente ricca di minerali che gli esperti la definiscono uno scandalo geologico. Il lavoro degli scavatori si svolge nel buio di tunnel che corrono sottoterra per decine di metri, senza alcun supporto di strumenti moderni. C’è chi scava a partire dal proprio giardino, e chi s’intrufola negli impianti maggiori sfidando le guardie armate di kalashnikov. C’è chi porta i figli. Interi villaggi inseguono i filoni. Come nell’epopea della caccia all’oro di Jack London, o nelle apocalittiche fotografie di Salgado dalla Serra Pelada nel Nord del Brasile dove in 50mila stipavano un catino minerario di 70 metri di profondità. Il mondo non è cambiato.
La catena del cobalto ricostruita dal foglio americano porta dagli scavatori a un’azienda congolese di raccolta e a un fornitore cinese dei produttori di batterie per le multinazionali. Se un secolo fa il Congo forniva gomma naturale e zanne di elefante, oggi cobalto e rame. L’epicentro del traffico si chiama Kolwezi, remota città costruita su una montagna di minerali, lungo un’autostrada a due corsie sulla quale i camion portano il cobalto al confine con lo Zambia, a 400 chilometri di distanza, e di qui in Tanzania e Sud Africa per l’imbarco sui mercantili verso l’Asia.
Gli scavatori muoiono a decine nelle buche che si chiudono su sé stesse, avvelenati dai fumi degli incendi che si accendono in profondità, minati nel fisico dalle esalazioni tossiche dei minerali la cui concentrazione nel corpo dei residenti è fino a 43 volte superiore alla media, e perfino di più nei bambini. Intanto, la domanda di cobalto nel mondo per l’industria delle batterie si è triplicata negli ultimi cinque anni e potrebbe raddoppiare entro il 2020. Il cobalto a basso costo è il nuovo oro, ma è questo lo scenario che sta dietro i non più di 10 grammi di cobalto delle batterie al litio dei nostri smartphone o i pochi chili che alimentano le macchine elettriche. A colpi di pala, piccone e morte.