Avvenire, 6 ottobre 2016
La sterlina è ai minimi da 31 anni
L’effetto Brexit non sembra donare alla valuta britannica. Da quando, domenica scorsa, la premier Theresa May ha annunciato che firmerà entro il marzo dell’anno prossimo l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, quello che formalizza l’inizio dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, il valore della sterlina nei confronti del dollaro è continuato a crollare raggiungendo ieri i minimi da trentun anni a questa parte. Il fondo è stato toccato in mattinata, quando la sterlina è scesa a 1,27 dollari, cioè un calo dello 0,8% su due giorni fa, dell’1,8% dall’inizio della settimana e una perdita di quasi il 15% dal 23 giugno, giorno del referendum. La valuta britannica è risultata debole anche nei confronti dell’euro e trattata ieri a 0,8766, il minimo dall’agosto del 2013. Lo scivolone della sterlina, com- mentava ieri un analista, «è riconducibile al calendario della Brexit annunciato domenica scorsa e alla fermezza con cui la May ha detto di voler controllare le frontiere, anche a costo di perdere il posto nel mercato unico». Secondo gli analisti di Commerzbank, la sterlina resterà sotto pressione finché non sarà raggiunto un accordo «amichevole» con Bruxelles. Mentre secondo un rapporto della compagnia di consulenze Oliver Wyman l’industria finanziaria della Gran Btetagna potrebbe perdere fino a 38 miliardi di sterline, circa 40 miliardi di euro, in entrate se Londra metterà in atto una ’hard Brexit’ che restringerà l’accesso al mercato unico. Lo studio calcola che l’uscita potrebbe bruciare 75mila posti di lavoro. Il timore, ha confermato ieri Hector Sants, vice presidente della Oliver Wyman, «è che il settore, che include retail banks, asset managers, assicurazioni e banche di investimento, si indebolirà mentre il governo cerca di negoziare l’uscita con Bruxelles». Il settore dei servizi finanziari britannici genera entrate che vanno da 190 a 205 miliardi di sterline l’anno e impiega 1,1 milioni di persone. L’industria paga tra i 60 e i 67 miliardi in tasse. «Se la Gran Bretagna manterrà l’accesso al mercato unico – ha concluso Sants – la perdita dei posti di lavori sarà limitata a circa quattromila e quella del reddito a circa due miliardi di sterline. È dunque nelll’interese di tutti noi che i negoziati navighino a gonfie vele».
La Borsa di Londra, comunque, non sta soffrendo molto. È vero che ieri ha perso lo 0,6%, ma l’indice Ftse 100 è rimasto sopra i 7mila punti ’sfondati’ martedì, quando è arrivato a 7.100 punti, il livello più alto da aprile dell’anno scorso.