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 2016  ottobre 05 Mercoledì calendario

Alle 8 di sera di una giornata lunghissima, dopo aver letto e ascoltato tante cose e dopo aver riflettuto a lungo, Paolo Maldini decide di far sentire la sua voce: «Scelgo la Gazzetta per fare chiarezza

Alle 8 di sera di una giornata lunghissima, dopo aver letto e ascoltato tante cose e dopo aver riflettuto a lungo, Paolo Maldini decide di far sentire la sua voce: «Scelgo la Gazzetta per fare chiarezza. Perché di questo si tratta: non è un messaggio di rabbia o di rancore, ma di chiarezza».
Paolo, partiamo dall’inizio. Ci racconta i suoi incontri con la nuova società?
«Innanzitutto sottolineo che rispetto molto Fassone, che ha un compito delicato. Ci siamo visti quattro volte in un mese, mi ha detto che sono la prima e unica scelta e mi ha spiegato perché: la mia vita e la mia storia sono alla base della loro decisione. Tutto quello che ho fatto per il Milan ha un peso importante. Però, proprio per rispetto della mia storia, se io accetto di entrare nel Milan lo faccio solo seguendo i miei ideali. Amo profondamente questo club e posso aiutarlo solo ascoltando il mio cuore e la mia testa. Per il bene del Milan devo restare me stesso».
Quali problemi sono emersi nel corso dei quattro incontri?
«Io non posso assumermi certe responsabilità e metterci la faccia senza identificarmi nella proprietà. Vorrei conoscere i nuovi proprietari, condividere il progetto, parlare di strategie, ascoltare i loro obiettivi e le linee guida. Mi sembra il minimo».
A parte Fassone chi ha incontrato?
«David (Han Li, ndr), il vicepresidente del fondo, l’unico che parla inglese. Ma è stata una chiacchierata di dieci minuti. Mi ha detto che mi vuole fortemente al Milan, non siamo andati oltre».
Lei ha messo delle condizioni?
«Non so se chiamarle condizioni, ma sono stati loro a cercare me e allora è giusto che io abbia chiesto delle cose. Ci sono due ostacoli evidenti: la mancanza di una responsabilità diretta nell’area tecnica e la scarsa chiarezza sul ruolo».
Sarebbe direttore tecnico.
«Sì, ma cosa vuol dire? Mi hanno prospettato una struttura con Fassone a.d., io direttore tecnico e Mirabelli direttore sportivo. Ma il punto è: cosa farò? Io e Mirabelli dovremmo gestire la parte sportiva, ma se c’è una differenza di vedute chi decide? Non posso avere un ruolo a metà con un’altra persona. Mi sembra inevitabile affrontare subito il problema. Non voglio giudicare chi non conosco, ma pretendo una condivisione del progetto sportivo che a oggi non c’è. Quindi ho chiesto di conoscere la proprietà, di sentirmi dire direttamente da loro cosa si aspettano da me, di vedere che condividono con me il loro progetto».
Restiamo sul ruolo: è possibile che in quattro incontri non abbiate approfondito la questione?
«So solo che con me ci sarebbero Fassone e Mirabelli. Ma allo stato attuale i ruoli rischiano di sovrapporsi su tante cose. Troppe. A me è stato detto che l’obiettivo è riportare il Milan tra le prime cinque squadre del mondo. Ma questo significa lavorare 24 ore al giorno per tanto tempo. Io sono disposto a farlo, ma devo sapere bene come stanno le cose».
C’è una dead line?
«No, ma nei prossimi giorni si definirà tutto in un senso o nell’altro. Io non ho fretta e sinceramente non mi sembra nemmeno il caso di averne vista la vastità del progetto. Vorrei solo sapere da loro cosa intendono fare per il bene del Milan. Poi io ci metterei la faccia, la credibilità, l’attaccamento ai colori, il tempo, la condivisione di un progetto, il lavoro».
Si dice che lei voglia scavalcare Fassone.
«Non è vero. Fassone è assolutamente credibile, capisco che abbia carta bianca. Con me è stato molto gentile, mi ha detto cose davvero belle. Ma è normale che io voglia confrontarmi con la nuova società: sentire se la proprietà si identifica con i colori rossoneri e con me è fondamentale».
Si dice anche che la trattativa si sia arenata per divergenze economiche.
«Falso. Non abbiamo mai parlato di soldi. Come faccio a quantificare se non mi dicono prima quale sarà il mio ruolo effettivo? Nei quattro incontri non abbiamo mai superato il primo scoglio».
Ma è verosimile che non abbiano ancora recepito la sua richiesta?
«Sembra strano, ma è così. Ripeto: ho bisogno di condividere il progetto e di sentirmi dire da loro cosa vogliono da me. Il lavoro sarebbe complicato ma affascinante: lascerei la vita tranquilla di questi anni per rimettermi in gioco, quindi devo sapere tutto. Dalla proprietà».
Paolo, si farà?
«Deve chiederlo a loro. Finora ci sono state tante voci e poca chiarezza. Non è detto che si faccia, ma è possibile. Però solo con ruoli definiti e con la condivisione del progetto. Come accadeva nel grande Milan di Berlusconi. Non sono io a dover dare una risposta a loro, ma loro a me. Mi rendo conto che posso sembrare un uomo complicato, ma questo carattere e il mio approccio allo sport e alla vita mi hanno portato a essere ciò che sono e che sono stato in campo. E poi sono obbligato a essere così: questo è il Milan. Non si scherza».