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 2016  ottobre 05 Mercoledì calendario

Perché Michele Serra non si fida di Assange

Come un qualunque giornalista compreso nel suo ruolo, il fondatore di Wikileaks Julien Assange, nell’imminenza del voto americano, ha reso noto che renderà pubblico «materiale significativo». Assange gode di fama mondiale in quanto, diciamo così, de-secretatore universale. Nella sua concezione della galassia informatica tutto deve essere “in chiaro” e tutto pubblico, perché l’opacità è l’arma del potere per tenere in scacco i cittadini. Questa sorta di glasnost totale, strappata alle caste di ogni ordine e grado, ha fatto di Assange una specie di eroe della libertà d’informazione, soprattutto tra chi è convinto che la rete sia la terra promessa dell’autogoverno.
L’aura vincente di Assange, in quanto desecretatore a priori di tutto il desecretabile, è quella del liberalizzatore neutrale e “oggettivo”, contro le manipolazioni interessate dei potenti. Ma nel momento stesso in cui pubblica dati sui protagonisti delle elezioni americane alla vigilia delle elezioni americane, Assange si manifesta – come chiunque pubblichi qualcosa – come un attore della scena mediatica; un opinion maker; un direttore responsabile. La finzione (non saprei dire se più ingenua o più ipocrita) che siano “i file” a parlare è, appunto, una finzione. A parlare è Assange, che come ogni giornalista, ogni editore del mondo, sceglie come e quando rendere pubblici materiali in suo possesso. Con una visibilità enorme e – dunque – un potere enorme. Non riesco a fidarmi di un uomo di potere che fa finta di non esserlo.