la Repubblica, 5 ottobre 2016
Ma non è una nuova Guerra fredda. Oggi Putin e Obama recitano a soggetto
«La Russia non è altro che una potenza regionale». Quando nel marzo 2014 Barack Obama lasciò cadere queste parole, commentando con esibita noncuranza la presa russa della Crimea, forse non immaginava quale effetto avrebbero prodotto nell’irritabile psiche di Vladimir Putin. La memoria di quell’insolenza ha contribuito poco più di un anno fa a determinare la scelta del Cremlino di intervenire in Siria. Persa Kiev, infragilita dal crollo dei prezzi petroliferi, colpita dalle sanzioni occidentali per l’intervento in Ucraina, la Russia voleva dimostrare a se stessa e al mondo di restare una grande potenza. Capace di far sentire il suo peso anche lontano dalle frontiere di casa. E di tornare a dire la sua in Medio Oriente, profittando del disimpegno di Obama.
Finora il limitato impegno militare nella mattanza siriana, affidato soprattutto all’aviazione e a un’esigua forza di terra, composta soprattutto da “volontari”, ha segnato per Putin un notevole successo. Sul fronte domestico, il richiamo all’orgoglio nazionale ha contribuito a far dimenticare (per quanto tempo?) la disfatta in Ucraina. Sul terreno, l’operazione russa ha salvato il regime di Al Assad e con esso le basi russe sulla costa mediterranea. Anzi, la coalizione siro-russo-iraniana più Hezbollah sta guadagnando terreno, fino a rendere concepibile la ripresa di Aleppo, o di ciò che ne sarà restato. A Mosca si studia poi l’offensiva finale su Raqqa, epicentro locale dello Stato Islamico, che dopo la simbolica liberazione di Palmira qualificherebbe la Russia quale campione mondiale della lotta al “califfato”. Sul piano regionale, infine, Putin è riuscito a riportare Erdogan a più miti consigli, giocando persino la carta curda, e a imbastire una molto circoscritta cobelligeranza con Teheran.
Tutto questo era avvenuto finora sullo sfondo di un interminabile negoziato russo-americano sulla Siria, fatto di labili intese e rumorose rotture. Segnato dalle esitazioni dell’amministrazione Obama, con il Pentagono deciso a boicottare l’aperturismo del Dipartimento di Stato nei confronti dei russi (il bombardamento “per errore” di un contingente militare siriano da parte di aerei Usa era forse parte di questa campagna). L’ipotesi di un compromesso fra Mosca e Washington sulla Siria sembra definitivamente svanita dopo che il Dipartimento di Stato ha annunciato la sospensione del dialogo con la diplomazia del Cremlino, motivandola con i brutali bombardamenti russi e siriani sui quartieri di Aleppo in mano ai ribelli. E dopo che, come immediata risposta, Putin ha annunciato la sospensione dell’accordo del 2000 con cui le due superpotenze atomiche stabilivano di eliminare parte dei rispettivi stock di plutonio, impiegabile nelle armi nucleari.
Gesto poco più che simbolico, ma che tocca un’area finora sacrosanta nelle relazioni russo-americane, quella degli accordi sugli arsenali atomici.
La Siria è solo uno degli scenari dove si sta dilatando la conflittualità fra Stati Uniti e Russia. Rivalità paradossale, considerando lo squilibrio di forze fra i due protagonisti. Ma Mosca e Washington sembrano indisponibili a una vera intesa. Troppo profonda la sfiducia reciproca, sempre attive le scorie mai smaltite della guerra fredda, palese il rifiuto di capirsi fra le due élite, quasi appartenessero a pianeti diversi. Dall’Ucraina al Medio Oriente, russi e americani conducono una guerra ibrida, condotta per interposti clienti, come in Siria e nel Donbass, ma fatta anche di colpi sotto la cintura (guerra cibernetica, campagne di disinformazione, contenziosi estesi financo alle Olimpiadi o ai Mondiali di calcio) e di esibizioni muscolari. Incluso il rafforzamento degli schieramenti di Nato e Federazione Russa lungo la linea di faglia fra Scandinavia e Balcani – cui presto contribuirà anche l’Italia, con un gettone militare sul fronte baltico.
Non è “nuova guerra fredda”. Ai tempi, sovietici e americani seguivano il copione della deterrenza, basata sulla mutua distruzione assicurata. Si capivano benissimo. Oggi Putin e Obama recitano a soggetto. Non sono in grado di entrare nella testa dell’avversario perché i loro codici sono differenti. Questo mondo è più pericoloso di quello crollato insieme al Muro di Berlino.