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 2016  ottobre 05 Mercoledì calendario

Londra inizia a pagare l’incertezza sull’hard o soft Brexit

Brexit assume connotati più precisi e dal mercato dei cambi si leva un altolà che non può essere equivocato. Dopo tre mesi e più di buone notizie sul fronte dell’economia britannica la sterlina precipita ai minimi contro il dollaro. Valori che non si vedevano dal 1985 quando un’altra donna, Margaret Thatcher, abitava a Downing Street e si batteva con i minatori dello Yorkshire, quando in Italia governavano democristiani e socialisti, quando le guerre del Golfo dovevano ancora farsi cronaca. Un altro mondo. D’improvviso il velo è stracciato, Londra avverte il morso di un divorzio che potrebbe essere radicale, una sforbiciata netta dopo quattro, e più, decenni di partnership.
Hard o soft Brexit? Nulla è ancora davvero deciso, Theresa May tiene le carte coperte più per confusione strategica che per scelta tattica. La Gran Bretagna non sa ancora come muoversi sullo scacchiere del dopo Europa. Non sa fino a che punto “difendere” i confini dall’immigrazione intra-comunitaria e fino a che punto, per converso, poter rinunciare al mercato interno per l’industria dei servizi – l’80 % del suo Pil – guidata com’è da quelli finanziari scolpiti nel “passaporto” per il single market Ue. Il boccone carico di slogan dal suono autarchico che la premier Theresa May ha gettato da Birmingham alla platea di Tory brexiters non significa affatto – lo ripetiamo – la scelta finale di Downing Street per hard Brexit. Non ancora. La signora primo ministro ha accontentato la folla e saggiato i mercati.
Le risposte sono arrivate subito. Più si levava la voce inorgoglita di euroscettici euforici, più la sterlina precipitava. Il consenso interno al partito per la leader, forse, aumenta, ma quello del mercato dei cambi crolla, rischiando di alienare la volontà popolare che avverte per la prima volta il prezzo dell’addio. Un popolo, lo ricordiamo, spaccato a metà e che per metà, solo, ha votato il recesso dall’Ue, rispondendo a un quesito largamente incompreso dirottato, nel suo significato reale, da una campagna di assoluta disinformazione.
Vedremo se i lampi di lunedì e peggio quelli di ieri dureranno ancora, ampliandosi ad altri mercati ospitati nella City. È fin d’ora opportuno, tuttavia, che Theresa May tenga conto di quanto sta accadendo, dinamica che tanto somiglia al prologo di un dramma in lento divenire. Aver incardinato la Brexit in un calendario preciso, aver alzato i toni dello scontro con Bruxelles spaventa gli investitori che invocano scelte ponderate, ovvero un’opzione morbida abbastanza per tenere in piedi la partecipazione di Londra al mercato interno. Ogni compromesso che escluda la City dal libero “accesso” alle piazze dell’Europa continentale innescherà uno smottamento fragoroso. Non solo sui cambi.
Il Ftse ha goduto del minimo storico toccato dal pound, ma sarà diversa la reazione se alle parole di Carlos Ghosn seguiranno i fatti, ovvero se la minacciata cancellazione degli investimenti Nissan nel Regno si farà realtà. Investimenti che, per ironia della storia, sono destinati anche a Sunderland dove il gruppo giapponese occupa settemila persone e dove il consenso per la separazione dall’Unione è stato fra i più alti del Paese. Dietro al ceo brasiliano promettono di allinearsi tutte le imprese che non intendono pagare dazio per commerciare fra Regno ed Europa, quando il Regno dall’Europa si sarà definitivamente allontanato. La Jaguar è stata esplicita nel sottolineare ansie non troppo diverse da quelle di Nissan. Il mondo delle imprese – fatti, anzi investimenti, alla mano – comincia a far sapere come si muoverà se sarà davvero hard Brexit. E i mercati si adeguano.