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 2016  ottobre 04 Martedì calendario

Andrea Battistoni, il trentenne che dirige la Tokyo Philarmonic Orchestra

L’orchestra sinfonica e operistica più antica di Tokyo, il direttore italiano più giovane. Da ieri Andrea Battistoni, veronese classe 1987, è Chief Conductor della Tokyo Philharmonic Orchestra, formazione dalla lunga storia: ha celebrato cinque anni fa il secolo di attività. Il tutto in quattro anni. 2012, incontro nel nome di Verdi ( Nabucco). 2015, nomina a direttore ospite principale. 2016 direttore principale. «Con i musicisti c’è stato subito un feeling speciale: del resto è la più “italiana” delle orchestre giapponesi rispetto alle altre ispirate al modello anglosassone. Alcuni anziani strumentisti, oggi nei ruoli dirigenziali, hanno suonato con i nostri migliori direttori del dopoguerra: Argeo Quadri, Francesco Molinari Pradelli, Nello Santi. Per non parlare dei cantanti», spiega Battistoni in viaggio verso Genova, dov’è direttore principale ospite dal 2013 (prima, dal 2011, al Regio di Parma) e dove venerdì dirigerà il concerto per i 25 anni di riapertura del Carlo Felice. Della nomina di Battistoni ha sorpreso la rapidità («non pensavo che dopo un solo anno come direttore ospite mi avrebbero proposto questo ruolo») non la sostanza. La nuova generazione di interpreti nati negli anni Ottanta ottiene riconoscimenti un po’ dovunque. Direzioni importanti (come per Daniele Rustioni, milanese classe 1983, stabile all’Orchestra Regionale Toscana che tra qualche mese entrerà in carica all’Opera di Lione), impegni internazionali prestigiosi: Sesto Quatrini, romano classe 1984, alla Sinfonia Abruzzese e Les Voix Concertantes di Parigi; Michele Gamba (1983), lanciato in marzo dall’avventuroso e provvido subentro a un collega improvvisamente ammalato alla Scala. E, tra gli altri, la terna classe 1979 Francesco Cilluffo, Alessandro Cadario fresco di nomina ai Pomeriggi Musicali di Milano e Michele Mariotti, direttore musicale al teatro Comunale di Bologna ma oramai insostituibile alla Scala, al Metropolitan di New York, a Berlino e Monaco, oltre che nella natale Pesaro. «Credo che la nostra scuola direttoriale sia seria», dice Battistoni, «e il fatto di essere richiesti all’estero significa che siamo ancora portatori di uno stile riconoscibile e di valori musicali».
Non la vede come la solita fuga di “cervelli”?
«No, tant’è che abbiamo sempre una parte di attività italiana. Il mio impegno a Tokyo ad esempio sarà di circa quattro mesi l’anno, tra opera, concerti sinfonici, tournée e registrazioni discografiche».
Qual è la caratteristica della Filarmonica di Tokyo?
«La duttilità. Gli strumentisti giapponesi, di livello tecnico eccellente, di solito non hanno abbastanza flessibilità nell’affrontare repertori diversi. Bisogna in un certo senso “scardinare” le loro sicurezze esecutive, lavorare sulla sensibilità musicale».
La sua orchestra che repertorio ha?
«Equamente diviso tra opera, che propone in vari teatri, e letteratura sinfonica. In ciò è una formazione dalle peculiarità uniche».
Quindi quali saranno le sue prime proposte da direttore musicale?
«Tra qualche settimana dirigerò Iris di Mascagni, poi Francesca da Rimini di Zandonai e altri titoli che in Italia non potrei fare. Nel sinfonico non vedo l’ora di dedicarmi a Stravinskij e Mahler».
Tokyo è stata ospitale con i teatri italiani e europei. Oggi può dirsi emancipata?
«Sta costruendo, e bene, una sua tradizione operistica. Per decenni i musicisti giapponesi hanno ascoltato e “studiato” il nostro modo di fare l’opera, anche attraverso i molti artisti che si sono perfezionati in Europa. Ora sono pronti a dimostrare che la “lezione” è servita».
Nel senso che gli ascoltatori giapponesi potranno tra un po’ fare a meno di ospitare i teatri europei?
«Non credo. Ma in questi anni è stato perfezionato un “suo” modo di fare l’opera e allevato una generazione di interpreti che non ha nulla da invidiare al resto del mondo».
Quindi è come giocare in casa?
«In senso musicale, sì. Cambia semmai il modo di organizzare la musica e il lavoro. La struttura gestionale di questi complessi è un esempio che dovremo importare noi».
Il confronto con l’attuale situazione è umiliante per i teatri italiani?
«Diciamo che è un’opportunità di verifica da sfruttare con onestà e realismo».
Basterebbe per risollevare il mondo operistico nazionale?
«Non so, ma per ricominciare una seria autocritica ci vuole. Io posso dire che a Genova si lavora bene, e seriamente, nonostante la situazione finanziaria sempre in bilico».
Quindi non c’è da temere il “tradimento” giapponese definitivo?
«Sono felice di questo nuovo incarico e che molti giovani colleghi abbiano queste stesse opportunità: chance di crescita e di confronto da non sciupare, anzi da trasferire ai nostri teatri. Piacerebbe a tutti noi poter fare qualcosa di utile per tutto il mondo che amiamo».
La politica farà la sua parte?
«Ha molte responsabilità: importante è che non lo dimentichi. Sta rischiando di essere complice nella distruzione di un patrimonio preziosissimo di competenza e storia musicale. Soprattutto dall’estero capiamo quanto sia importante».