la Repubblica, 4 ottobre 2016
I 50 disegni di Umberto Eco liceale
Un giorno ha mandato su tutte le furie la professoressa di scienze. Lei che si vestiva sempre di nero e succhiava le caramelle, si era vista rappresentata in scena dal liceale Umberto Eco che sul palco della commedia creata dai goliardi della sezione A era apparso con un vestito nero pece gonfiando le gote con la caramella in bocca. Tutti avevano capito ed erano scoppiati a ridere. Lui se l’era inimicata per sempre ma non se ne curava. Allo spirito goliardico non avrebbe più rinunciato. Mario Garavelli, giudice, magistrato, per Eco (scomparso nel febbraio di quest’anno) da allora e per sempre il suo amico Flosius, lascia andare il flusso di ricordi. Apre una scatola di cartone, quella della carta da lettere che si scrivevano in un’epoca ormai lontanissima: lì dentro
c’è un pezzo della vita dell’autore del Nome della Rosa, gli anni da giovane studente: la locandina della rivista Non ho voglia di studiare, anno 1949, la foto appena ingiallita della quarta ginnasio, quella dove Eco e Garavelli sono l’uno accanto all’altro, nella prima fila in basso. Compagni di banco e amici per la vita. Dagli anni del liceo Plana di Alessandria a quelli del Collegio universitario di via Galliari a Torino, dove sono transitati anche Claudio Magris e Gianluigi Beccaria.
«Io ero povero – racconta Garavelli – e avevo saputo che c’era un concorso per entrare al Collegio, vitto e alloggio, molte ore di studio e orari monacali. Con Umberto sono andato alla prova di cultura generale e abbiamo avuto la borsa di studio». Dalla scatola esce il “contratto” con cui il burlone Eco affida al compagno i suoi disegni, quelli che nelle ore di lezione schizzava con la stilografica mentre i professori spiegavano. Lui non prendeva appunti, ascoltava e disegnava: caricature, donne, cavalieri, l’assedio di Orléans, la battaglia di Poitiers, i manifesti per le partite di calcio della squadra “Apocalisse Football Club”. Lui non giocava ma partecipava alle sfide creando le locandine da affiggere ai muri della scuola. Uno stile alla Jacovitti, dice sorridendo Garavelli. Carlo Magno, manco a dirlo, era lì a strafogarsi, Carlo il Corto diventa un nanetto, Ludovico il Pio snocciola il rosario.
Ed ecco, nello scrigno di cartone, spuntare l’affidamento ufficiale dei disegni, cinquanta piccole graphic novel ante litteram su fogli di quaderno che Flosius ha conservato gelosamente nella sua casa torinese. «Stipendio dovuto al signor Garavelli per le sua mansioni di segretario: 1) Imprestamento del Candido (il settimanale dell’epoca), appena letto dal proprietario. 2) Esclusiva assoluta sull’utilizzo dei disegni».
Al fianco di Flosius c’è Bice, che poi è la professoressa Mortara Garavelli, linguista, accademica della Crusca: «Era lei la più brava di tutti», dice Flosius con ammirazione. Bice e Mario sono sposati da cinquantanove anni. La loro relazione al liceo non era sfuggita all’Eco burlone. Quando Mario- Flosius aveva vinto una bicicletta in un concorso per il miglior tema, e con la fidanzata arrivava a scuola in bici, l’amico aveva trovato il modo di rivelare il loro amore. Nel suo stile: «Garavelli va in Bice». È lei ad estrarre quel frammento di ricordo, la studentessa seria che allora si era sentita in imbarazzo: «Erano tremendi, sempre lì a scherzare». La scatola di cartone si apre ancora. Questa volta ne esce il manifesto del Circolo Surrealista liceale.
Eco aveva scritto il regolamento: «Lotteremo per l’emancipazione dei pazzi, gli unici dritti. Tutti i casi patologici sono consigliati, paranoia, schizofrenia, vari complessi psicoanalitici. È severamente proibita la megalomania» Mentre i compagni iniziavano i primi flirt, lui affinava le tecniche goliardiche. «A un certo punto era arrivato in classe un ragazzo svizzero che si chiamava Winteler. Se n’è andato poco dopo, ma il suo cognome è passato alla storia, trasformato in un urlo stralunato (OOOH Winteler!!) che ritornava ad ogni nostro incontro negli anni della maturità». Nello scrigno una fotografia. Ritrae il gruppo di quarantenni, tutti seduti nella stessa classe, stessa formazione. Come se il tempo non fosse passato. Sugli scaffali i libri. A ogni nuova uscita il semiologo ne mandava una copia agli amici. Quando Il Nome della Rosa non è ancora in libreria, a casa Garavelli arriva un pacco: «A Bice e Flosio alcuni pastiches iniziati al Plana». Firmato Umbertus.