Corriere della Sera, 4 ottobre 2016
Il braccio di ferro sull’Italicum continua
A metà della settimana scorsa erano «aperture formali» che il premier avrebbe fatto sull’Italicum nella direzione del Pd. Lo aveva detto ai fedelissimi, ma lo aveva anche lasciato intendere alla minoranza interna e agli alleati.
Alla fine della settimana scorsa era in ballo addirittura una nuova riforma elettorale che Renzi avrebbe avanzato alle Camere prima del referendum di dicembre.
Sono passati i giorni e gli annunci di una possibile svolta si sono tramutati in «alcune idee personali» che il presidente del Consiglio intende far conoscere al parlamentino del Pd lunedì prossimo.
Che cosa sta succedendo veramente? Ieri il premier è stato (apparentemente) chiaro: «Il Pd – ha detto a Radio popolare – non proporrà delle modifiche. Noi andremo a vedere le carte, siamo disponibili al confronto, ma non decido io. Decide il Parlamento». E in realtà il Parlamento ha già deciso, perché questa settimana, o al massimo la prossima, incardinerà la riforma della legge elettorale in commissione Affari costituzionali della Camera, grazie anche al lavorio di Maurizio Lupi, che del premier è alleato.
E allora? Allora Renzi cerca di disvelare il bluff della minoranza del Pd, convinto com’è che «il loro atteggiamento sia strumentale» e che «Bersani abbia già deciso di votare di No al referendum, qualsiasi sia la modifica all’Italicum che si può fare». Ma gli alleati cercano di svelare il suo, di bluff. E di capire fino a dove il presidente del Consiglio si voglia spingere. Per costringerlo a non tenere le carte coperte all’infinito.
In realtà un’ipotesi di mediazione con i centristi della sua coalizione c’è già e non eliminerebbe quel secondo turno al quale il presidente del Consiglio, pur in vena di concessioni, è affezionato, perché, come ripete in ogni suo colloquio, «un sistema che non assicuri la governabilità e garantisca solo le larghe intese io non lo voglio».
È un sistema, quello della possibile mediazione, che mantiene il ballottaggio, ma prevede che a parteciparvi ci possono anche essere delle coalizioni, grazie all’apparentamento al secondo turno. Coalizioni alle quali spetterebbe l’eventuale premio di maggioranza. Serve come il pane al ministro dell’Interno Angelino Alfano, ma anche al leader di Ala Denis Verdini.
Il presidente del Consiglio, che non si vuole «impiccare a una formula», soprattutto dopo aver capito che una sua eventuale proposta sarebbe «pregiudizialmente» non accettata dalla minoranza del Pd e anche dagli altri avversari politici, comunque, non spinge più il piede sull’acceleratore: «Io ho dato la mia disponibilità a cambiare l’Italicum sul serio, anche se lo ritengo un sistema elettorale valido, ma se gli altri, come registro in queste ore non ci stanno...».
Già, se non ci stanno, non ci sarà nessuna proposta formale del premier. Almeno fino a quando la Corte costituzionale non avrà deciso. Ed è questo che ha spinto Renzi a muoversi nei giorni scorsi. L’idea che la Consulta possa costringerlo a un cambiamento dell’Italicum lo ha indotto a fare le sue mosse prima del referendum. Soprattutto dopo che Giorgio Napolitano, che nella Corte ha diverse sponde, ha detto in maniera chiara che l’Italicum va cambiato.
Napolitano è talmente convinto di questo che nei giorni scorsi ha cercato di coinvolgere altri big del centrosinistra per persuadere Matteo Renzi a cambiare l’Italicum. Il presidente del Consiglio non ha risposto picche: «C’è la totale disponibilità a cambiare la legge elettorale, voglio veramente trovate un accordo sulle modifiche all’Italicum», ha assicurato. E ha aggiunto: «Anche se i miei interlocutori mi diranno che non vogliono fare niente prima del referendum, io andrò avanti lo stesso». Ma ha poi chiosato: «Non decido io, la scelta spetta al Parlamento, che è sovrano, l’Italicum è una buona legge, vediamo se sono in grado di cambiarla...».