Corriere della Sera, 1 ottobre 2016
Cronaca del duello tv tra Renzi e Zagrebelsky
Sono arrivati puntuali e nei camerini de La7, al trucco, è andata così.
Il premier: di ritorno da Gerusalemme e in palla, molto sicuro, molte pacche sulle spalle, sorrisi, ironia (e comunque è quasi impossibile accorgersi di quando gli gira storto; ci riescono in pochi, e tra i pochi c’è Filippo Sensi, il portavoce, che però non te lo direbbe nemmeno sotto tortura).
Il professore: con l’aria che ti aspetti, le rughe severe da giurista di rango assoluto, da ex presidente della Consulta, da celebre ispiratore di appelli politici e, adesso, da lider maximo nella campagna del «No» al referendum costituzionale.
Matteo Renzi esce in corridoio: «Oh, ragazzi… Cominciamo?».
Enrico Mentana guarda l’orologio.
Sì: il primo grande confronto della campagna referendaria può iniziare.
Sigla.
(A questo punto, dovete tenere a mente due sole cose: Renzi ha molta più dimestichezza con le telecamere; ma il professor Gustavo Zagrebelsky insegna Diritto costituzionale. Quindi, in qualche modo, partono alla pari).
E partono con scintille. Renzi prova ad andare piano, diplomatico. Zagrebelsky replica affilato: «Beh, intanto mai avrei potuto sperare di incontrare il premier in persona, al massimo il ministro Boschi… Anzi, se poi può mettere una buona parola pure con il ministro…». Prende fiato, e prosegue: «Rilevo inoltre che il premier ha cambiato idea su gufi, rosiconi e parrucconi: altrimenti non avrebbe perso tempo, stasera, con uno di loro…».
Renzi, sguardo di fuoco. Deglutisce. Glielo leggi in faccia che si sta ripetendo: stai calmo, Matteo, calmo. «Prof, venga al merito».
Mentana gongola.
Dopo venti minuti, la sensazione è questa: il professore cerca di buttarla sul tecnico, usa termini che probabilmente comprende un ascoltatore su cinque e continua a graffiare: «Anche lei è un costituzionalista, Renzi, no?»; ma Renzi non cade nella provocazione e, invece, accetta lo scontro: dimostrando di maneggiare argomenti, concetti, Costituzione. «Del resto, professore, io ho studiato Diritto costituzionale sui suoi libri…».
Gli argomenti di Zagrebelsky: dice che con la riforma rischiamo di passare da una democrazia a una oligarchia e che il ping-pong delle leggi tra Camera e Senato non deriva dal bicameralismo, ma dalle forze politiche; poi, evoca la Costituzione di Bokassa. È così che, lentamente, il confronto scivola allora su un terreno più congeniale a Renzi. Quello del botta e risposta. Della velocità dialettica. Del comizio tivù.
Battute. Il professore: «Ma mi ascolta?». Il premier: «Lei deve fare pace con se stesso, con i suoi articoli e le sue interviste». Il professore: «Quando parlo, scusi: perché mi guarda così? Io dico solo che lei, Renzi, vuole regole per essere più forte…». Il premier: «Va bene: posso annunciarle che, come Pd, prenderemo l’iniziativa per cambiare l’Italicum. Dunque, questo dibattito che stiamo facendo potrebbe anche essere inutile…».
In realtà, con il trascorrere dei minuti, il dibattito diventa scivoloso, inafferrabile, in qualche passaggio francamente incomprensibile (Mentana, in un paio di circostanze, costretto a tradurre i concetti del professore).
Comunque: Renzi, sempre più sicuro. Zagrebelsky, sempre più dottorale.
Cinque minuti a parlare di Leopoldo Elia. Altri cinque dedicati al «bicameralismo paritario». Più volte citato Silvio Berlusconi (Zagrebelsky con smorfie piene d’un miscuglio di fastidio e disprezzo). Poi Renzi annuncia: «Comunque il sistema dei “capilista” bloccati non piace neanche a me. È una delle cose che vorrei cambiare. E quanto a Berlusconi: sa perché è finito il patto del Nazareno? Perché sono libero. E infatti adesso Berlusconi voterà “No” al referendum: come lei, professore».
Mentana manda la pubblicità.
Si riprende con il professor Zagrebelsky che torna con toni ancora più tragici. Se ne accorge: «Mhmm… So che mi state per interrompere…». E Renzi: «No. Però lei non è che può fare il professore che interroga, eh?».
Sono le 23.15.
Mentana, ci pensi tu?