la Repubblica, 3 ottobre 2016
La peggior stagione di Vettel
C’era una volta un ragazzo sorridente, perfino spensierato per essere un pilota di Formula Uno. Lo accusavano di non avere il killer instinct, eppure era stato capace di vincere quattro Mondiali di fila. Per questo la Ferrari lo scelse l’anno scorso: sembrava l’uomo giusto per riportare la Rossa ai livelli di Michael Schumacher. Un tedesco tira l’altro, secondo un fin troppo semplicistico pensiero.
Questo era il passato. Il presente è l’immagine di Vettel che prende in pieno Rosberg nel gp di Malesia vinto da Ricciardo (Red Bull), ed è per la quarta volta in questo 2016 (Cina, Russia e Belgio i precedenti) che Seb esce alla prima curva, per un motivo o per un altro. Non sorride più, il tedesco. Si limita a rispondere educatamente, il tono della voce sembra affievolito. Colpa sua, o della Ferrari? È Maranello che ha affossato il pilota Ferrari praticamente più pagato di sempre (25 milioni netti, ma il tedesco poi arriva a 41 con gli altri sponsor)? O è lui che sta smarrendo talento e velocità? Ieri Vettel s’è preso del «matto» e dell’«idiota» prima dal più giovane, Max Verstappen, e poi da una leggenda, Niki Lauda: par condicio perfetta.
La sua manovra al via, punita dai commissari (sconterà a Suzuka una retrocessione in griglia di tre posti), è stata condannata unanimemente. «Mi ha detto che ha visto lo spazio e c’ha provato: è un pilota…» ha rivelato, cercando di giustificarlo, Maurizio Arrivabene, che aggiunge solo che «quest’anno non gira, proprio non gira…». A questo punto non si può non riflettere anche sul caso Alonso e sui suoi presunti fallimenti con la Rossa: c’è chi comincia a dire, sia pure sottovoce, che è la Ferrari a mangiarsi i piloti, e non viceversa. Ritornano anche in mente le parole di Chris Horner, boss Red Bull, di qualche mese fa: «Ho la sensazione che Sebastian sia un po’ scosso, e so per esperienza che deve sentirsi bene per poter lavorare bene. E non sono sicuro che la pressione esercitata da Sergio Marchionne gli stia facendo piacere». Perché la Ferrari non esce da questo circolo vizioso? Lo dice l’ex Lauda: «In Ferrari reagiscono istintivamente e in maniera emozionale ai problemi. Se tutto va bene allora sono rilassati e questo è negativo per la ricerca continua del successo. Viceversa, se le cose vanno male, si crea una pressione spietata, dall’esterno e anche all’interno. Così si tende a correre ai ripari con le soluzioni più rapide, anziché fare passi avanti programmati uno dopo l’altro».
Esattamente il contrario di quello che ha fatto il team del giorno, la Red Bull. Che passerà alla storia per essere stato l’unico vero avversario del dominio Mercedes in questo 2016: la doppietta malese, complice il motore in fiamme di Hamilton, premia lo staff di Adrian Newey. Un team che l’anno scorso non aveva più un motore, dopo i litigi feroci con Renault. E che, dopo i rifiuti di Mercedes e Ferrari, aveva dovuto trovare un compromesso con Renault stesso, che non ha più voluto dare il nome alla power unit (che si chiama Tag Heuer, gli orologiai). Erano sotto un treno, quelli della Red Bull, e ora sono il secondo team. Come? Tutti in coro dicono: «Sanno dove mettere le mani. Hanno portato al limite i piloti, dunque intervengono al meglio. Hanno fatto scelte anche diverse rispetto agli altri team, hanno un tecnico che ha una visione». Mentre altri team si limitano a registrare i dati, inserirli in un software che poi rilascia la soluzione. «Che va interpretata, non eseguita pedissequamente – dice un ingegnere che preferisce non essere citato e poi hanno tempi di reazioni veloci, cosa che non accade in qualche altro team. Devo dirvi il nome?». Non c’è bisogno.