La Stampa, 1 ottobre 2016
Dodici anni per il viaggio più incredibile. Storia della sonda Rosetta
Quella di ieri è stata una giornata di gioia e tristezza per gli scienziati dell’Agenzia Spaziale Europea. La sonda Rosetta si è posata sulla cometa 67P, dopo una missione durata 12 anni, realizzando una delle imprese più strabilianti nella storia delle esplorazioni del nostro sistema solare. Ma in questo tempo Rosetta era diventata quasi un’amica, con cui si dialogava ogni giorno ricevendo in risposta così tante immagini e informazioni che ci sarà bisogno di altri 10 anni di lavoro per analizzarle. Vedere quella tonnellata di tecnologia, molta della quale italiana, schiantarsi sulla superficie della cometa ha fatto dunque versare anche qualche lacrima.
Rosetta è caduta sulla 67P Churyumov-Gerasimenko (i cognomi degli scopritori russi) alle 13,20 ora italiana, nel momento e nel luogo previsti. 40 minuti dopo, il tempo che i segnali arrivassero sulla Terra da 720 milioni di km di distanza, il Mission Manager Patrick Martin ha potuto annunciare un «successo pieno. Rosetta, ti diciamo addio. Hai fatto il tuo dovere». La storia di questa missione è un impeccabile esempio di esplorazione spaziale ben fatta, ed è la prova di come gli europei collaborano felicemente, quando non c’è di mezzo la politica.
Era stata lanciata il 2 marzo del 2004 con un razzo Ariane dalla Guyana, con l’obiettivo di percorrere 7,9 miliardi di km nel Sistema solare e raggiungere un ammasso di roccia e ghiaccio largo 4 km che si muove alla velocità di 14,39 km al secondo. Non era l’equivalente del trovare l’ago nel pagliaio, era molto peggio. Arrivata nello spazio profondo nel 2011, Rosetta è rimasta in ibernazione per due anni e sette mesi, con tutti gli apparati di bordo spenti. Il momento del risveglio era stato particolarmente emozionante, perché nessuno poteva assicurare che tutto funzionasse ancora. Mentre gli scienziati nel centro di controllo di Darmstadt, in Germania, gridavano insieme «wake-up Rosetta», la sonda si è riattivata e ha comunicato: «Sto bene».
Il resto del viaggio è stato difficile e ci sono volute molte correzioni di rotta per raggiungere 67P alla sua stessa velocità, evitando di superarla. L’aggancio è avvenuto nell’agosto 2014, a 10 anni dalla partenza. Rosetta ha lanciato sulla cometa un lander, chiamato Philae, che pur atterrando malamente ha esaminato campioni di roccia e gas. Poi ha cominciato il lento avvicinamento, che si è concluso ieri. Fino all’ultimo ha continuato a trasmettere segnali e foto spettacolari, che l’Esa ha messo a disposizione online.
Tutti i nomi della missione sono stati presi, come ormai avviene spesso nelle imprese spaziali, dall’antico Egitto. Non solo Rosetta (la stele più famosa) e Philae, (l’isola del tempio di Iside e dell’obelisco di Belzoni), ma anche Maat (dea dell’ordine cosmico e della verità) con cui è stata identificata la regione di atterraggio e Deir el-Medina (la città a forma di nave scoperta da Schiapparelli), il luogo dove la sonda è caduta. La telecamera non poteva dunque che chiamarsi Osiris. È alle lenti del dio dell’oltretomba che ora dobbiamo meravigliose immagini ad altissima risoluzione, in grado di mostrare nel dettaglio particolari larghi appena tre centimetri. La cometa pare un’anatra fatta con l’argilla, probabilmente il frutto della collisione di due comete. In certe immagini scattate da poche centinaia di metri pare di vedere le cime delle Dolomiti, frane comprese. Grazie ai dati di Rosetta, presto comprenderemo meglio le origini delle stelle e dei pianeti. Per ora la sonda ci ha già detto che le comete hanno un corpo poroso uniforme, senza spazi cavernosi. Il 50% del volume interno è vuoto, come in una pietra pomice. Anche se le vediamo brillare in cielo da millenni, la loro superficie è scura e riflette solo il 3% della luce solare. E la spettacolare coda di particelle che si distaccano dal nucleo ha un campo magnetico da cui emana una vera musica, che gli scienziati hanno registrato. È il suono più antico e misterioso dell’Universo.