La Gazzetta dello Sport, 1 ottobre 2016
Storia di Kenenisa Bekele, il più grande maratoneta della storia
È ai vertici da 17 lunghissimi anni. Da quando, nei 3000 dei Mondiali allievi di Bydgoszcz 1999, fu d’argento alle spalle di Pius Muli. Così come l’anno dopo lo sarebbe stato nei 5000 di quelli juniores di Santiago del Cile, battuto da Gordon Mugi, altro keniano poi praticamente sparito. Kenenisa Bekele, domenica a Berlino capace della seconda prestazione mondiale all-time in maratona (2h03’03”), a soli sei secondi dal primato di Dennis Kimetto (toh, un keniano), secondo molti – a maggior ragione a questo punto – è il più grande corridore di medie e lunghe distanze della storia. È sempre difficile, quando si confrontano atleti di epoche e generazioni diverse, stilare classifiche del genere. Ma il piccolo etiope, 34 anni compiuti in giugno e 167 centimetri di talento puro, in un ristrettissimo gruppo di leggende non sfigura affatto. Anzi. Merita un posto di primo piano a prescindere.
FENOMENO L’impresa tedesca, clamorosamente ottenuta dopo undici mesi di stop forzato e nove settimane di allenamenti veri, lo ha rilanciato in meraviglioso stile dopo anni di infortuni a catena. Pareva finito. Ora ha concrete prospettive di una seconda, grandiosa carriera. Certo già la prima lo ha consacrato. Secondo di sei figli (il fratellino Tariku è stato oro sui 5000 ai Mondiali juniores di Pechino 2006 e sui 3000 a quelli indoor di Valencia 2008), è di Bekoji, città di circa 230.000 abitanti che ha dato i natali anche alle sorelle Dibaba (Ejegayehu, Tirunesh e Genzebe) e a loro cugina Derartu Tulu. La località si trova nella provincia di Arsi e nella regione di Oromia, di tanta drammatica attualità anche nel mondo dell’atletica per le proteste di Feyisa Lilesa, il vice olimpionico di maratona contro la grave situazione politica in essere.
LA TRIPLETTA Bekele, in vent’anni vissuti di corsa, ha completato un curriculum che pochi altri vantano. In sintesi: tre ori olimpici (più un argento), cinque mondiali all’aperto (più un bronzo) e uno indoor in pista, ai quali aggiunge l’esagerazione di undici titoli iridati individuali di cross. È qui, nel palmares sui prati, che Bekele (cinque doppiette mondiali consecutive tra prova corta e lunga), nel raffronto con altri specialisti, fa la differenza. Senza dimenticare che dal 2004 è primatista del mondo di 5000 (12’37”35) e 10.000 (26’17”53), distanza sulle quale tra il 2003 e il 2011 è rimasto addirittura imbattuto. Non era mai successo che uno stesso atleta detenesse i primati su ambo le distanze per oltre un decennio. E non fosse stato per quei sei secondi, Kenenisa ora sarebbe pure il primo uomo a detenere contemporaneamente anche il limite di maratona, impresa della quale in campo femminile è invece stata capace la norvegese Ingrid Kristiansen (tra il 27 luglio e il 26 agosto 1985).
LA STORIA Bekele, cresciuto inseguendo il mito del connazionale Haile Gebrselassie, di nove anni più anziano, ha attraversato la sua stagione più prestigiosa tra il 2004 e il 2005, non a caso nominato entrambi gli anni atleta Iaaf. Quel periodo, paradossalmente, è coinciso col momento più difficile della sua vita. Nel gennaio 2005, infatti, in un bosco nei pressi di Arrarat, durante un allenamento comune, colpita da infarto, moriva tra le sue braccia Alem Techale, 19enne iridata allievi 2001 dei 1500, sua promessa sposa. Il matrimonio avrebbe dovuto celebrarsi l’8 maggio. Kenenisa, invece, il 5 giugno, ad Assela, a 250 km da Addis Abeba dove Alem è ora sepolta, inaugurando un monumento celebrativo, faceva da starter al 1° memorial Techale, una corsa giovanile. Questo per dire della sua forza morale e della non comune capacità di reazione, qualità che gli sono servite anche nello sport. Al punto, oggi, di essere tornato ai massimi livelli dopo 5 anni di problemi.
PROSPETTIVE Kenenisa, doppio oro a Pechino 2008 e oggi sposato all’attrice Danawit Gebregziabher, per quanto possa apparire irriverente, «superatolo» anche in maratona, ha un peso tecnico forse persino superiore a quello di Gebre. Perché in pista vanta due ori «globali» in più (otto a sei), perché ha vinto tutti gli sconti diretti (sette) e perché sta dimostrando simile longevità. Di certo, dalla sua, la qualità dei finali di gara, modello Farah. Nei giorni migliori, in pista, portarlo all’ultimo 400, equivaleva a sconfitta sicura. Lo ha ribadito domenica a Berlino, con quel 6’08” negli ultimi 2.195 metri che ha dell’incredibile. «Non avesse avuto tanti infortuni e non si dedicasse troppo agli affari – dice l’olandese Jos Hermens, da sempre al suo fianco e per lui ben più di un manager – penserei quasi che potrebbe essere l’uomo in grado di abbattere il muro delle due ore in maratona». Più realisticamente può pensare all’oro di Tokyo 2020: a quel punto il riscatto su chi non lo ha voluto a Rio sarebbe completo.