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 2016  settembre 30 Venerdì calendario

Quanto costa l’Ape?

Ancora una volta il «piatto forte» della legge di Bilancio sono le pensioni. In primis la flessibilità con Ape, poi l’aumento delle minime con un allargamento della quattordicesima mensilità (solo in Italia esiste una cosa del genere) e infine la riduzione del cuneo fiscale contributivo con la diminuzione di qualche punto percentuale di contributi. Tutto questo nonostante il peggioramento generale della situazione: 1) le uscite pensionistiche e assistenziali sono cresciute negli ultimi 5 anni del 6,4% contro il 2,28% delle entrate contributive e il -0,15% del Pil; quasi tutto l’incremento delle uscite è dovuto ad assistenza (come a dire che a chi ha pagato i contributi non diamo nulla e togliamo con il contributo di solidarietà mentre a chi non ha mai pagato facciamo l’aumento premio); 2) il rapporto attivi–pensionati peggiora e oggi abbiamo 1,36 lavoratori che pagano i contributi ogni pensionato (ce ne vorrebbero almeno 1,55 per tenere in quasi equilibrio il sistema); 3) il debito pubblico è aumentato di 77 miliardi nei primi 6 mesi del 2016 (oltre 12 miliardi al mese). In queste condizioni il governo, forse spaventato dalle prossime scadenze elettorali, propone l’Ape nella versione gratis sociale per i meno abbienti e a pagamento per quelli che un lavoro ce l’hanno e stanno bene (dicono) perché guadagnano più di 1.500 euro. A) Ma quanto costa allo Stato, quindi a tutti noi, l’Ape? Considerando 2 anni sperimentali e 30.000 beneficiari per anno (i 150 mila di cui si è parlato mi sembrano una follia) il costo è di 1,44 miliardi (720 milioni l’anno) nell’ipotesi ottimistica che 10 mila soggetti anticipino di 12 mesi, altri 10 mila di 24 e altri 10 mila di 36 mesi. Ma siccome è tutto gratis è probabile che i costi aumentino. B) E quanto costerebbe a quelli che non rientrano nel gratuito? Costerebbe un sacco di soldi perché un anno di anticipo ridurrebbe l’assegno per i successivi 20 anni del 6,08%; del 12,16% per un anticipo di 2 anni e del 18,24% per 3 anni. E questi sono calcoli ottimistici poiché l’assicurazione costerà certamente di più; infatti se un lavoratore accede all’anticipo a 63 anni per 36 mesi, prenderà poi la pensione a 66 anni; dovendo restituire alla banca per il tramite dell’Inps quanto ricevuto in anticipo nei 20 anni successivi, arriverà a 86 anni. Peccato che l’aspettativa di vita media per i maschi è di 80,1 anni e 84,7 per le donne; quindi, in media (e i lettori facciano tutti gli scongiuri) a 86 anni saranno tutti morti il che implica per le assicurazioni la certezza di pagare almeno le ultime rate. Inoltre ci saranno maggiori costi per assicurare soggetti sopra i 75 anni (soglia limite per le assicurazioni), i fumatori e quelli con patologie. La «penalizzazione» Ape costa il doppio rispetto alla proposta Damiano corretta con i veri coefficienti attuariali (6,08% contro il 3,2%). Ma c’è di più: con che criterio si scelgono quelli che avranno gratis la prestazione? Chi farà la scelta tra bisogno e merito? Chi si comporta bene al lavoro e ha un salario di 1.600 euro al mese è meno meritevole di uno che lavora poco, prende 1.200 euro e sarà il primo a essere cacciato? E allora che fare? Considerato che Ape costa, come pure il part time, la soluzione sta nei fondi di solidarietà che hanno funzionato bene per i bancari (oltre 60 mila esuberi a costo zero per lo Stato). Basta utilizzare lo 0,30% che tutte le aziende versano (oltre 1 miliardo l’anno) e impiegarlo per i prossimi 5 anni per finanziare la «flessibilità in uscita grave»; cioè esodati o disoccupati di lungo corso, precoci e persone con gravi problemi di salute o con in famiglia portatori di handicap o non autosufficienti. Questa è la soluzione più trasparente e a costo zero poiché il pareggio di bilancio del fondo esuberi è a carico delle aziende che ne beneficiano. Quanto alla decontribuzione ribadiamo che è la maniera più subdola per fare debito pubblico occulto e per fare cattiva educazione civica ai cittadini. Se proprio si vuole ridurre il «cuneo» si riduca l’Ires, l’Irap e si dia credito d’imposta per ogni assunzione oltre a semplificare la vita agli imprenditori che passano la metà del tempo a dar retta allo Stato burocratico.