Corriere della Sera, 30 settembre 2016
Parisi fa sapere di essere contrario alle larghe intese
Già gli «amici» di Forza Italia lo sospettavano di intendenza con il «nemico». Ci mancava l’ingegner Carlo De Benedetti, che nell’intervista concessa ad Aldo Cazzullo per il Corriere lo ha indicato come il futuro anello di congiunzione tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. «Non se ne parla proprio...», sorride Stefano Parisi, accusato di inciucio preventivo con il leader del Pd: «Io? Ma se sono contrario alle larghe intese».
È un processo indiziario, deve difendersi.
«I governi di grande coalizione non mi convincono. Intanto perché questo modello è in crisi in Austria come in Olanda, e mostra la corda anche in Germania, eppoi perché proprio questa soluzione sta alimentando l’antipolitica. Quando invece si confrontano due piattaforme programmatiche alternative, com’è accaduto a Milano, le forze antisistema vengono marginalizzate. Ciò non vuol dire che il bipolarismo debba essere il muro contro muro».
Così rischia di offrire argomenti ai suoi accusatori.
«Perché mai? Per venti anni in Italia abbiamo assistito a uno scontro violento, con la sinistra e i suoi giornali di riferimento impegnati solo a tentare di delegittimare l’avversario. Perciò la domanda posta a Berlusconi andrebbe rivolta proprio a chi gliel’ha fatta: ne è valsa la pena? Secondo me no. La sinistra ne è uscita inaridita e si è esaurita in un conflitto che non ha giovato al Paese. Oggi serve un bipolarismo adulto, figlio di un confronto serrato quanto civile. Serve un programma di governo, proprio quello che stiamo costruendo, alternativo a Renzi».
Ma il governo Renzi ha portato a compimento riforme che stavano nel programma del vecchio Pdl.
«A parole ha cercato di conquistare l’elettorato moderato ma i suoi provvedimenti stanno in realtà impoverendo il Paese e stanno erodendo la fiducia dei cittadini verso la politica. In materia economica così come sulla tematica estera, serve una svolta. Noi non sappiamo se l’attuale stagnazione sarà secolare, ma siamo certi che l’Italia, insieme alla Grecia, sta nella buca dove è entrata dai tempi del governo Monti. Vanno abbassate le tasse su lavoro e imprese, ma i tagli di spesa necessari vanno fatti con un approccio diverso. A Bruxelles non serve battere i pugni sul tavolo, va riconquistata una leadership perduta dopo che è stato dissipato il lavoro di Berlusconi per avvicinare la Russia all’Occidente e bloccare i flussi migratori dall’Africa mediterranea».
Sembra un discorso da candidato premier...
«Non è tema del momento. Il mio è un contributo alla ricostruzione del centrodestra».
Anche perché Berlusconi pensa al «terzo predellino».
«Berlusconi è un leader determinato, e consapevole che serva una fase di rigenerazione per recuperare i voti persi».
Ma incontra Matteo Salvini e Giorgia Meloni senza di lei.
«Giudico positiva quella riunione. Finalmente si capisce la rotta. E condivido il No riformista al referendum, contro una modifica della Costituzione confusa e sgrammaticata. Un No per fare riforme migliori, contro una riforma nata su una frattura nel Parlamento e nel Paese».
Veramente in Parlamento Forza Italia ha votato Sì fino al penultimo voto.
«In un contesto di scontro bipolare aspro come l’attuale, ogni tentativo di accordo, anche limitato e relativo a materie istituzionali, finisce in contorsioni».
Berlusconi si sta contorcendo al pensiero che la vittoria del No finisca per avvantaggiare i Cinque Stelle.
«Qualunque sia l’esito del referendum ci sarà un centrodestra pronto a governare. Se vincesse il No Renzi dovrebbe dimettersi da premier e lasciare al capo dello Stato il compito di indicare una soluzione di transizione, in modo da andare alle urne con un nuovo sistema di voto. Approvando subito, se possibile, una legge che dia vita nella prossima legislatura a un’Assemblea costituente».
Il centrodestra appoggerebbe questa «soluzione di transizione»?
«No. È l’attuale maggioranza che dovrebbe assumersi le proprie responsabilità. In Parlamento andrebbe approvata una nuova legge elettorale per eliminare il secondo turno e rivedere il premio di maggioranza».
Ma così le larghe intese sarebbero inevitabili, dato che in Italia ci sono tre poli.
«Non è detto che resti così. Pochi anni fa il M5S non esisteva e il vento anti-sistema potrebbe presto esaurirsi. I Cinque Stelle non hanno radici profonde nella storia del nostro Paese come il centrodestra e il centrosinistra».
Nell’attesa che Grillo si dissolva, però, senza Italicum e ballottaggio si andrebbe alla grande coalizione.
«La legge elettorale non dovrebbe avere un premio di maggioranza eccessivo, altrimenti i cittadini si sentirebbero esclusi dalle scelte e non andrebbero a votare. In Parlamento deve esserci una maggioranza che corrisponda alla maggioranza del Paese»...