La Stampa, 30 settembre 2016
Il Bangalore messo a ferro e a fuoco per una disputa sull’acqua
Gli esperti avvertono che la prossima guerra mondiale si combatterà per il controllo dell’acqua. E a giudicare dai disordini che da due settimane colpiscono il Sud dell’India si comincia a capire il perché.
Immaginatevi la cosmopolita Bangalore, capitale indiana dell’IT che ha attirato investimenti da tutto il mondo nel software e nell’informatica, di colpo messa a ferro e fuoco a causa di una disputa che riguarda un fiume. Non è un fiume qualunque, il Cauvery, o «il Gange del Sud», considerato sacro dagli induisti più estremi. Ma non è certo per i suoi poteri spirituali che nei giorni scorsi 500 manifestanti hanno dato fuoco a 56 autobus di proprietà di un abitante del limitrofo Stato di Tamil Nadu, attaccando la polizia che ha risposto uccidendo due assalitori a pistolettate. È solo per l’acqua. Difatti i teppisti gridavano: «Daremo il sangue, ma non l’acqua del Cauvery!». Duecento di loro sono stati arrestati, ma i tumulti non si sono fermati, nonostante il coprifuoco e l’ordine di sparare a vista.
La stagione dei monsoni
Che cosa è successo? Secondo un accordo del 1892, epoca dell’Impero britannico, lo Stato del Karnataka (61 milioni di abitanti) è obbligato a rilasciare un certo volume d’acqua stagionalmente allo Stato di Tamil Nadu (72 milioni). Il Cauvery serpeggia per 765 chilometri tra Karnataka, Kerala, Tamil Nadu e la municipality autonoma di Pondicherry. Se nella stagione dei monsoni il cielo è generoso e regala pioggia a tutti, non c’è nessun problema: tamil e kannadigas si amano.
Ma quando il cielo è avaro, e le nuvole non si fan vedere, quando i campi di riso si seccano e invece d’iniziare il raccolto a giugno, ancora non s’è iniziato a settembre, come quest’anno, tutto torna ad essere molto pre-tecnologico. È la natura che fa litigare gli uomini. L’acqua è vita. E quest’anno i monsoni sono stati avari, tranne sporadici temporali a macchia di leopardo.
Il governo del Karnataka s’era rivolto allora alla Corte Suprema per chiedere di limitare l’erogazione d’aqua al Tamil Nadu. Serve a noi, hanno detto i legali del governo locale, e se insisterete ad obbligarci ad aprire le dighe ci saranno violenze e disordini. La risposta della Corte Suprema è stata lo sdegno: «Dite al vostro governo di obbedire agli impegni e di mantenere legge e ordine». E subito sono cominciati gli incendi, sparatorie, proteste. In tutta risposta a Chennai, capitale del Tamil Nadu, due molotov hanno dato fuoco a hotel di proprietà di kannadigas. A Bangalore c’è stata la caccia al tamil, a Chennai la caccia al kannadig.
La questione è ancora aperta. Ieri sera il ministro delle risorse idriche di Delhi, non essendo riuscito a trovare un accordo tra i due governatori, ha inviato due squadre di esperti ad analizzare i danni della siccità e la reale esigenza idrica di entrambi.
Le altre sfide nel mondo
Ma non è un problema solo indiano. Basta ricordare che la rivoluzione contro il presidente Bashar al Assad in Siria iniziò a causa di graffiti contro l’establishment causati da un governatore locale corrotto che controllava male proprio le risorse idriche. O ricordare le proteste per la siccità a San Paolo del Brasile, gli sconvolgimenti nel Sud della Cina per le dighe nel fiume Yangtze, o le minacce del Laos, che con le dighe sul fiume Mekong rischia di affamare Vietnam e Cambogia. Per non parlare, di nuovo in India, della disputa con il Pakistan nel Kashmir per il controllo del fiume Indo: le guerre dell’acqua sono ormai una realtà sempre più globale.