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 2016  settembre 29 Giovedì calendario

Così Red Bull ha reso l’Rb Lipsia la squadra più odiata di Germania

Forse non vincerà il Meisterschale nel giro di dieci anni, come ha annunciato in un moto di improvvido entusiasmo, ma di certo Dietrich Mateschitz per ora è riuscito nell’impresa di fare del suo RB Lipsia la squadra più odiata di Germania, e forse d’Europa, alla sua prima storica presenza in Bundesliga. Perché la Red Bull ti metterà anche le ali, come recita un famoso spot televisivo, ma i miliardi dell’energy drink austriaca che hanno trasformato la Formula1 e monopolizzato gli sport estremi in Germania sono riusciti a riunire praticamente tutte le tifoserie, senza distinzioni di campanile, storiche rivalità e posizionamento politico, sotto le insegne del “Nein zu RB” (No al Rb). Una protesta che ha portato sin qua a sit-in per impedire l’accesso agli stadi alla squadra di Lipsia, a proteste più o meno clamorose (a Dresda è stata lanciata in campo una testa di toro, simbolo della bibita e dell’azienda austriaca).
Attenzione, però, perché Rb non sta per Red Bull, nonostante il simbolo della squadra sia evidentemente disegnato su quello della bibita, ma è l’abbreviazione di “RasenBallsport Lipsia”, letteralmente “sport della palla su campo Lipsia”. Un escamotage linguistico che è servito ad aggirare le norme federali (capiterà spesso in questa storia) e che la dice già lunga su quello che il colosso del’energy drink sta facendo oggi con il calcio tedesco e ha fatto ieri con quello austriaco. In Germania, infatti, vige una legge che vieta ai club calcistici di assumere il nome del proprio sponsor, unica eccezione concessa quella del Bayer Leverkusen visto che il legame fra l’azienda farmaceutica e la squadra della città in cui è nato è antecedente alla norma stessa. Una limitazione che non ha fermato gli strateghi del marketing della Red Bull che sono arrivati a coniare un neologismo per aggirare il problema. Del resto la storia stessa del Rb Lipsia è fatta di escamotage per sfuggire ai regolamenti fin dalla nascita nel 2009 quando la Red Bull ha acquisto il Markranstädt, una piccola società della periferia di Lipsia per farne il più grande progetto di marketing applicato al calcio. Ci sarebbe il piccolo dettaglio delle norme che impongono una proprietà “diffusa” dei club di calcio (il 50% +1 delle quote deve appartenere a più soggetti) ma anche in questo caso l’inganno alla legge è cosa semplice, con l’ingresso nel capitale azionario di una srl composta interamente da dipendenti Red Bull che ha fatto incetta di azioni messe sul mercato a un prezzo di circa 20 volte superiore a quello, per fare un solo esempio, dei titoli del Borussia Dortmund.
Le prime proteste dei tifosi locali risalgono proprio a quei tempi, con cartelloni pubblicitari bruciati e manifestazioni. Ma il nuovo Rb Lipsia milita nelle serie minori e la cosa rimane confinata in città dove comunque il Sachsen Lipsia resta la squadra più seguita. È solo l’inizio, invece, e ci vorrà qualche anno per capire cosa sta succedendo, e come il marketing commerciale si sia ormai inserito nel tessuto sportivo come un parassita, cannibalizzandolo e nutrendosi della sua essenza vitale fino a svuotarlo. In pochi anni il Rb Lipsia arriva fino alla Zweite Liga, la serie B tedesca. Frutto dei tanti soldi riversati sulla squadra (il muro dei 100 milioni di euro di investimenti è stato sfondato questa estate) ma anche della capacità di progettazione che la Red Bull ha affinato negli Stati Uniti (con i New York Red Bulls) in Brasile (il Red Bull Brasil di Campinas), in Africa (con l’Academy Red Bull Ghana) e soprattutto in Austria dove Mateschitz nel 2005 ha acquistato il Salisburgo, squadra della città dove ha sede l’azienda, cancellandone la storia, ridisegnandone il simbolo e cambiandone addirittura i colori sociali. Certo il Red Bull Salisburgo ha vinto sette degli ultimi dieci titoli austriaci (e ha visto sfilare in panchina stelle come Giovanni Trapattoni e Lothar Mattheus) ma anche lì le proteste dei tifosi non sono mancate: al punto che una parte della curva ha fondato una nuova squadra, lo Sportverein Austria Salzbuig, che è ripartita dall’ultima serie nazionale con stemma e colori che richiamano la vecchia società. Quel bianco e viola che gli ultras del Red Bull hanno reclamato a lungo al posto del biancorosso sociale ottenendo in cambio l’ironico regalo di speciali occhiali con lenti viola all’ingresso dello stadio cittadino dove gioca quella che ad oggi è a tutti gli effetti una squadra satellite del più quotato RB Lipsia.
Del resto nella visione Red Bull dello sport lo stemma di una squadra, il nome, i colori sono solo parte di un grande meccanismo di marketing in cui del calcio resta poco o nulla. Per rendersene conto basta ricordare l’episodio che ha visto protagonista il difensore del Salisburgo Andreas Ulmer, sceso in campo in campionato giocando per 90 minuti con la maglia del Red Bull Lipsia. E nessuno se n’è accorto.
Ecco perché allora i tifosi della Bundesliga, ma prima era accaduto già nelle serie minori, da settimane stanno scatenando una protesta che ha il sapore della difesa di valori antichi e passione di fronte allo strapotere del business. La settimana scorsa, a Colonia, un sit-in degli ultras locali ha costretto il RB ad entrare nello stadio da un ingresso secondario e ha causato lo slittamento di quindici minuti del fischio di inizio della partita. Altri gruppi organizzati, invece, ormai disertano sistematicamente le trasferte a Lipsia mentre i tifosi del Borussia Dortmund hanno preferito andare a sostenere una squadra locale di una serie minore piuttosto che veder giocare i propri beniamini contro gli uomini Red Bull.