la Repubblica, 28 settembre 2016
Sempre più malati stanno avendo la meglio sul cancro
Mille nuovi casi di cancro al giorno in Italia. È una cifra che a prima vista spaventa. Invece dovrebbe essere rassicurante, perché significa che oggi siamo in grado di diagnosticare la malattia sempre prima e siamo in grado di curarla sempre meglio. Alle mille persone che ricevono una diagnosi di cancro vanno infatti associate le più di mille che ogni giorno sono dichiarate clinicamente guarite. Dunque il quadro reale è che in Italia ci si ammala di più, ma si muore di meno.
E la riduzione della mortalità dev’essere al centro della nostra attenzione perché il cancro non fa paura per le cure, sempre meno invasive, ma perché evoca la morte. Del resto, fino a pochi decenni fa, chi si ammalava in effetti spesso moriva, mentre oggi molto più spesso guarisce. Ma i retaggi culturali vanno oltre i tempi della scienza e il cancro è ancora il male per antonomasia. I nuovi dati Aiom confermano che questa rappresentazione oscura non ha più motivo: i due principali tumori che colpiscono rispettivamente donne e uomini, al seno e alla prostata, hanno un tasso di guaribilità del 90%.
Non voglio con questo sostenere che l’aumento di incidenza sia irrilevante. Anzi è fondamentale perché orienta le politiche di prevenzione che, con la diagnosi precoce, sono i nostri strumenti salvavita. I dati ci impongono di fare di più sul fronte dell’alimentazione, delle vaccinazioni contro i virus tumorali, della lotta ai cancerogeni nell’aria e soprattutto al fumo di sigaretta. Se il tumore al polmone non è più il killer numero uno in assoluto in Italia è comunque quello che potremmo più facilmente azzerare con un solo cambiamento: eliminare il tabagismo. Non è facile, per via delle valenze psicologiche e della dipendenza clinica che la sigaretta crea, ma sono convinto che non abbiamo ancora fatto abbastanza per convincere i fumatori che tutti possono liberarsi dalla schiavitù del tabacco e stare meglio.
Mi colpisce il dato sulle donne: l’incidenza del tumore al polmone femminile aumenta, mentre nell’uomo il trend è opposto. Inoltre per questo tumore l’incidenza non si discosta troppo dalla mortalità, perché purtroppo la diagnosi precoce non è per nulla diffusa. Già dieci anni fa avevo lanciato l’allarme: salviamo il mondo femminile dal suicidio collettivo del fumo. Le stime di allora prevedevano che, se fosse continuata la tendenza delle donne a fumare, la curva di mortalità per tumore del polmone avrebbe superato quella per tumore del seno. Negli Usa il sorpasso è avvenuto. Noi siamo ancora in tempo a salvare le nostre donne, a condizione di cambiare modelli culturali.
Il che ci introduce a una riflessione più ampia: la nuova popolazione, sempre più vasta, di chi ha o ha avuto una storia di cancro impone un nuovo modello di medicina. Oltre a guarire la malattia, la medicina deve restituire alla società una persona capace di vita affettiva, sociale, lavorativa. La riabilitazione in ambito oncologico è fondamentale e prima di tutto psicologica. Un buon medico non può più curare un malato senza mettersi sul suo stesso piano, parlare con lei o lui e sapere chi ha di fronte: qual è la sua visione e il suo progetto di vita. Siamo nell’era della Medicina della Persona.