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 2016  settembre 27 Martedì calendario

I vecchi buoni fruttiferi, i rendimenti ci sono ma Poste non paga

Da una parte i risparmiatori, che pretendono i rendimenti astronomici riportati sul retro dei vecchi buoni fruttiferi. Dall’altra, le Poste e la Cassa depositi e prestiti, disposti a liquidare solo la metà dell’importo. In mezzo i Tribunali, chiamati a stabilire chi abbia ragione. «La situazione è chiara. Si tratta di affermare il diritto dei piccoli risparmiatori ad avere ciò che era stato promesso loro trent’anni fa o più», dice Marta Buffoni, avvocato novarese che ha avviato alcune cause pilota e che per prima ha ottenuto una sentenza favorevole. Lo scorso ottobre, infatti, il Tribunale di Savona ha dato ragione a un anziano che nel 1983 aveva investito un milione di lire e ora chiede i 16mila euro che gli spettano in base agli interessi stampati sul buono. Le Poste, disponibili a pagare 8mila euro, hanno fatto ricorso in appello.
La disputa riguarda le molte migliaia (quante, non è dato sapere) di buoni fruttiferi delle serie M, N, O e P, emessi fra il 1974 e il 1986. Vale a dire, «i titoli di risparmio più remunerativi mai venduti da un ente pubblico, con tassi demenziali già per i tempi, basati su previsioni sull’andamento dell’inflazione anno per anno che si sono rivelate semplicemente sbagliate», come sbottano oggi alle Poste. Per chi li ha conservati, o li riceve in eredità, è come avere in tasca biglietti della lotteria vincenti. Per capire come sia nato il pasticcio, e perché proprio ora si accendano le cause, è fondamentale partire da una data: dal 1 luglio del 1986 il governo cancellò i rendimenti a doppia cifra per i buoni fruttiferi, adeguandoli all’inflazione che dal 16 percento del 1976 si era abbassata in un decennio al 6 percento. Avendo i buoni scadenza trentennale, il primo luglio scorso segna uno spartiacque.
In conseguenza del famigerato decreto ministeriale 148, noto come Gava-Goria, tutti i buoni emessi dopo il 1 luglio 1986 (serie Q e successive) garantiscono rendimenti dimezzati rispetto a prima. Ma il governo fece di più: con effetto retroattivo, il decreto dimezzava infatti i rendimenti anche per i buoni emessi dal 1974 in poi, oggi oggetto della diatriba. Lì per lì, furono in pochi a protestare. Ma oggi che quei buoni sono andati a scadenza, si comprende il peso del provvedimento. I buoni trentennali emessi nel 1974 e 1975 non possono più essere incassati, visto che erano «pagabili entro 10 anni dalla scadenza». Ma chi abbia la fortuna di possedere buoni emessi fra il 1976 e il luglio 1986 è ancora in tempo per recarsi in posta e chiedere il saldo. È il caso di don Antonio, parroco a Massa di origini brindisine, che si è rivolto all’associazione di consumatori Agitalia reclamando 898mila euro. A tanto, infatti, ammonta il rendimento di una cartella da 50 milioni di lire che ricevette in dono dal padre nel 1976, nel giorno in cui fu ordinato sacerdote. Le Poste gli hanno riconosciuto 449mila euro, in base agli interessi calcolati secondo il decreto Gava-Goria, ma il prete ha avviato un’azione legale per avere la differenza. Molto simile è la vicenda di Giovanna Russo, musicista cremonese residente a Fermo. Il 22 aprile del ‘76, per il suo battesimo, i genitori le regalarono un buono da 5 milioni di lire. Alla scadenza, le Poste le hanno rimborsato 45.651 euro, lei ora ne pretende altrettanti. Nel nord Italia le contese sono tanto numerose che l’associazione Adusbef ha istituito in Veneto e Lombardia un servizio legale ad hoc. «Ai risparmiatori non chiediamo nulla come onorario, se non in caso di vittoria. E contiamo di farcela», dice Marisa Costelli, avvocato e responsabile dell’associazione in Lombardia. La decisione del giudice di Savona, che ha accolto il ricorso del risparmiatore, fa riferimento a una sentenza delle sezioni unite della Cassazione del 2007, che ha dato ragione a un consumatore a cui erano stati liquidati buoni “a termine” per i quali erano stati impiegati moduli non aggiornati. Ed è solo in casi simili quelli in cui siano stati commessi palesi errori materiali – che Poste e Cassa depositi e prestiti si dicono pronti «a valutare un riesame dei casi», riconoscendo «in tutto o in parte» le richieste dei risparmiatori. Per quanto riguarda invece la rivalutazione (in negativo) dei buoni emessi fra il 1974 e il 1986, le Poste sono determinate a resistere in giudizio fino alla Cassazione, rifiutandosi di pagare. E mettono in guardia: «Consigliamo ai risparmiatori di non spendere gli importi che il giudice di primo grado dovesse riconoscere loro, visto che in ogni caso faremo ricorso in appello e potrebbero essere costretti a restituirceli».