la Repubblica, 25 settembre 2016
La cultura politica che manca al No alle Olimpiadi
Si può essere contro le Olimpiadi a Roma? Certo che si può. Di opinioni radicali e coraggiose c’è un gran bisogno. Un bisogno – direi – direttamente proporzionale alla grevità e all’invadenza del pensiero unico (la maggioranza, nella dura poetica di Alvaro Mutis e Fabrizio De André, è “come una malattia” e “come un’anestesia”). Però le opinioni radicali, proprio perché sono di minoranza, più difficili da imporre e perfino da dire, richiedono autorevolezza. Senza modelli alternativi, i “no” rimangono solo dei “no”, un niente che rimpiazza un qualcosa. E non è un problema solo dei cinquestelle: tutte le opposizioni, tutti gli antagonismi, tutti i radicalismi hanno buon gioco – specie in tempi di crisi – a mettere a fuoco quello che funziona male. Ma fanno una enorme fatica a proporre alternative chiare, che non attraggano solamente le avanguardie, che possano fare breccia nel senso comune.
Questa tremenda difficoltà di proporre scenari diversi è comprensibile; ma suggerirebbe, nel pronunciare i propri “no”, una dose di prudenza e perfino, quando serve, di rincrescimento. Non è mai piacevole smontare il lavoro altrui. Al “no” olimpico dei cinquestelle mi sembra sia mancata, diciamo così, una cultura politica di sostegno; se uno è contrario lo si ascolta più volentieri se sa spiegare, subito dopo, a che cosa è favorevole.