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 2016  settembre 23 Venerdì calendario

Per la prima volta Oxford è in cima alla classifica delle università più prestigiose d’Europa

Sbanca Oxford. Ed è la prima volta che nella prestigiosa classifica delle università di tutto il mondo, stilata dal «Times Higher Education World», l’istituzione dei 27 premi Nobel, dei 27 primi ministri inglesi e britannici, delle decine di leader politici mondiali, di santi e arcivescovi di Canterbury, di scienziati e artisti conquista la vetta e mette alle spalle le famose americane, dal Mit ad Harvard, oltre alla rivale Cambridge.
Si potrà discutere all’infinito sui criteri che accompagnano questa scelta, peraltro universalmente riconosciuti, quali ad esempio il numero dei libri pubblicati dal corpo docente o la qualità della ricerca, ma il dato di fatto è che Oxford è un modello di eccellenza per come è organizzata, per come segue i suoi iscritti (9 mila sterline la tassa annuale), per le prospettive che offre a laureati e specializzati, per la sua capacità di adattarsi al nuovo. E per la sua internazionalizzazione, un dna molto particolare.
A dispetto di chi pensa che Oxford sia un marchio di esclusività classista o di ceto, una università di soli ricchi, basta dare un’occhiata ai numeri degli iscritti negli oltre trenta college e alla loro provenienza: 140 nazionalità, dall’Afghanistan al Belize, dal Ghana al Lesotho. Il 41% degli studenti dei corsi di laurea e il 63% dei corsi post laurea (master e dottorati) è straniero. E la sorpresa è che, sommando i primi ai secondi (laureandi e post laureati), in cima ci sono statunitensi (1.441) e cinesi (1.047) ma al quinto posto degli oxoniani ci sono gli italiani (378), dopo Germania e India. Se poi si aggiunge che le stesse percentuali si hanno nel corpo docente (i docenti ordinari guadagnano dalle 60 alle 120 mila sterline lorde, gli associati dalle 30 alle 60 mila), ecco che parlare di Oxford come di università di origine inglese ma di globale contemporaneità non è per niente sbagliato. La tradizione antica di mille anni non si cancella. Il presente e il futuro marciano però su binari di eccellenza che sfondano i confini della vecchia Inghilterra. Il successo scientifico e accademico di Oxford ci aiuta a capirlo il professore Federico Varese del Nuffield College, docente di Criminologia. E le ragioni sono diverse. Innanzitutto l’avere da tempo spostato il baricentro accademico, prima tutto centrato sui tre anni di «undergraduate» (la nostra triennale), verso il «dopo laurea», con forti investimenti sulla ricerca. I professori non si limitano alle lezioni e agli esami ma costruiscono le carriere con lo studio e le pubblicazioni. Non esistono i «baroni» intoccabili. Non esistono concorsi truccati o guidati. Non esistono parentopoli. E non esiste neppure quella figura di docente irraggiungibile, con l’assistente che fa i corsi e il mostro sacro che dirige da lontano.
«Siamo una università normale, se così si può dire», spiega Federico Varese. «Normale», nel senso che i professori hanno titoli per essere professori, che hanno a disposizione i fondi per la ricerca (quattro le fonti: lo Stato, i privati, le tasse d’iscrizione, i finanziamenti europei), che seguono i ragazzi. E gli iscritti, divisi nei college, hanno a disposizione una struttura che consente di avere un rapporto diretto col docente, di essere seguiti, stimolati, incoraggiati. «Questa è la tradizione: ossia la comunità del college, la piccola comunità fra professori e giovani. È così che si forma una forte identità. Il college è il luogo dove si vive, dove si impara, dove si studia, dove si incoraggia a criticare, dove ci si diverte. Esperienza fondamentale». Modello antico. E sempre virtuoso. Spogliato dei privilegi. E globalizzato. Aperto al mondo. Ma con un punto interrogativo: la Brexit. Già perché oggi una parte cospicua di fondi che fanno di Oxford la regina delle università arriva dall’Europa. In alcuni dipartimenti è l’80% del budget. Fuori dall’Europa che accadrà?