la Repubblica, 22 settembre 2016
Investire in foreste conviene
Alzi la mano chi è interessato a un rendimento annuale tra l’8 e il 10% al netto delle commissioni e con una cedola annuale del 3%. Con 3 trilioni di obbligazioni in giro per il mondo che mostrano rendimenti negativi una domanda del genere dovrebbe suscitare grande entusiasmo. E in effetti molti investitori istituzionali stanno considerando l’idea di allocare i propri denari nei fondi che comprano e gestiscono foreste. È una asset class, come si dice in gergo, che esiste da parecchi anni ma ha sempre interessato fondi pensione, assicurazioni o family officer che nel tempo hanno acquistato foreste in giro per il mondo e poi le hanno affidate in gestione a società terze specializzate. Oggi questa asset class vale 100 miliardi di dollari ed è ancora una nicchia. «Gli investimenti in boschi e foreste – spiega Gian-Paolo Potsios, managing partner di Timberland Investment Resouces Europe stanno diventando popolari soprattutto perchè sono un’ottima forma di investimento per proteggersi contro i rischi dell’inflazione». Potsios e il suo partner Hugh Humfrey si dedicano a questa attività fin dal 1984 quando lavoravano per la Wachovia, una finanziaria americana con sede a Charlotte, negli Stati Uniti del sud, e quando questa nel 2000 è stata comprata dalla Wells Fargo hanno colto l’occasione per mettersi in proprio e fondare una Sgr specializzata nella gestione delle foreste. La società è cresciuta nel corso degli anni e oggi amministra un patrimonio di 250 milioni di alberi valutato 2 miliardi di dollari, sparsi su circa un milione di ettari prevalentemente negli Stati Uniti. Ora, per avvicinare a questo tipo di investimento anche operatori che non hanno le strutture e la massa critica per farlo, hanno lanciato un fondo europeo, TIR Europe Forestry fund, destinato a investitori istituzionali interessati all’acquisto di foreste. Finora hanno raccolto 75 milioni di cui circa 60 arrivati da compagnie di assicurazioni e fondi pensione italiani, ma entro poco pensano di arrivare a 150 milioni. Il ticket minimo di ingresso è pari a 2 milioni di euro e il fondo rimarrà chiuso per 10 anni in quanto le foreste hanno bisogno di tempo per crescere e svilupparsi ma il rendimento annuale dovrebbe essere garantito così come la cedola. «L’anno peggiore per noi è stato il 2010 quando abbiamo registrato un rendimento vicino allo zero, ma mai negativo», aggiunge Potsios.
L’investimento in foreste è adatto a chi ha una visione di medio lungo periodo, e appassiona anche manager del Vecchio Continente. Si tratta di una casualità, forse, ma è interessante sapere che i due manager francesi che da poco tempo guidano due delle più grandi società italiane, cioé Philippe Donnet delle Generali e Jean Pierre Mustier dell’Unicredit, sono soci in Francia in una foresta di circa mille ettari che ogni anno sforna tonnellate di rovere destinato ai produttori di barrique. E a quanto pare si tratta di un investimento molto soddisfacente se è vero che ogni anno la principale preoccupazione dei due manager è quella di stabilire l’aumento del prezzo del rovere, che non deve essere troppo alto per non gravare troppo sui compratori.
La gestione delle foreste e la sua attrattività per gli investitori, inoltre, ha nel suo Dna un approccio ecosostenibile. L’interesse di tutti è che le foreste si mantengano e si amplino sempre di più. «Per ogni albero che tagliamo ne ripiantiamo cinque. Dobbiamo garantire la continuità biologica della crescita se vogliamo che la nostra strategia di investimento non muoia», conclude Potsios.