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 2016  settembre 22 Giovedì calendario

Cosa succede se l’Italia resta a crescita zero. Scenari possibili

Cosa esattamente stia accadendo nell’economia italiana in questi mesi si capirà nel 2017, quando i sospetti avranno lasciato il posto a fatti solidi e certi. Ma qualunque cosa sia, non può essere niente di buono. Sicuro per adesso è solo che la dinamica in corso appare radicalmente incompatibile con la ripresa emersa all’inizio del 2015.
Nelle prossime settimane potrebbero arrivare informazioni che rendono il quadro un po’ più positivo, per esempio con i risultati della produzione di auto o del turismo in estate. Ciò che è dato sapere fino a questo momento però racconta un’altra storia. Dopo aver segnato crescita zero nel secondo trimestre del 2016, anche nel terzo l’economia italiana potrebbe essere rimasta immobile o poco più; quanto alla parte finale del 2016, quando si voterà per il referendum costituzionale e due grandi banche del Paese saranno impegnate a sondare investitori in tutto il mondo, il prodotto interno lordo potrebbe essere di nuovo a zero. Oppure sotto quota zero, come nel 2014. L’Italia non è in recessione, ma neppure a distanza di sicurezza da essa.
È possibile che gli indizi da ora in poi rovescino questa prospettiva, ma per ora quelli già disponibili non fanno che rafforzarla. Il più credibile è il cosiddetto indice Pmi manifatturiero, un sondaggio mensile fra i direttori degli acquisti di 450 imprese industriali italiane riguardo allo stato degli affari, del magazzino e dell’impiego in azienda. In agosto su quell’indice era atteso un calo rispetto a luglio, invece è arrivato un crollo da 51,2 a 49,8 (quando il dato è sotto 50, indica contrazione). Naturalmente il settore manifatturiero vale per appena più di un quinto dell’economia italiana, ma attorno ad esso si muovono molti servizi per esempio nei trasporti o nelle comunicazioni. Tradizionalmente il Pmi manifatturiero è una bussola fedele di dove va l’Italia, e oggi non è la sola che punta in basso. Il fatturato dell’export in luglio è in calo annuale per la prima volta da tempo. Le costruzioni – in termini di «produzione», secondo l’Istat – in luglio sono scese di 0,4% da giugno e dell’1,3% in un anno. Ormai costruire un edificio o un tratto di strada costa sempre meno.
Non stupisce, in questo quadro, che in agosto la fiducia delle famiglie e delle imprese sia venuta fuori decisamente in calo. Questi sono valori volatili, legati alla psicologia delle persone durante l’intervista da parte dall’istituto statistico. Ma è almeno da aprile che la serie di risposte mostra una flessione progressiva su tutta la linea: clima economico, clima personale, giudizio sul futuro, sulla situazione del Paese o sulla disoccupazione. Cresce solo la propensione al risparmio. A questo punto i valori di fiducia per le imprese sono sotto ai livelli del gennaio 2010, dopo il crash di Lehman e agli albori della crisi del debito. Se l’Italia non sta scivolando di nuovo in una recessione, non può esserne molto lontana.
Pesa anche la frenata dell’economia internazionale e dell’economia europea fotografata dall’Ocse (vedi articolo in alto in questa pagina). Pesa anche l’euro, che negli ultimi dodici o diciotto mesi non ha fatto che rafforzarsi, frenando l’export europeo. È stata una lunga rivalutazione strisciante, poco discussa perché non investe il dollaro e lo yen giapponese. Ma da aprile 2015 la moneta unica si è apprezzata del 7,5% sul totale dei Paesi con cui l’area euro commercia, in proporzione al loro peso negli scambi. Dai minimi dell’ultimo anno il balzo sulla sterlina è stato del 21%, sullo yuan cinese del 10% e sul franco svizzero di quasi il 6%, e queste economie insieme pesano due volte e mezzo gli Stati Uniti sul commercio dell’area euro. Eppure la Banca centrale europea non riesce a evitarlo, perché gli istituti centrali di Pechino e Berna continuano a comprare euro aggressivamente (e la sterlina è piegata dalla Brexit).
Su questo sfondo, l’Italia andrà alle urne e poi dovrà gestire 360 miliardi lordi di crediti deteriorati nei bilanci delle banche. Un aiuto dello Stato agli istituti in crisi è praticamente precluso dal rischio che ciò inneschi perdite per i risparmiatori. Anche per questo in alcuni ambienti europei, a Parigi come a Berlino, è stata affacciata un’ipotesi diversa: incoraggiare il governo di Roma ad accedere a un prestito del fondo-salvataggi europei Esm per le proprie banche, anche se l’Italia oggi non ha difficoltà a finanziarsi sul mercato. Per chi offre questa opzione il vantaggio è in una sospensione delle regole di “bail-in” che colpiscono gli investitori privati, perché la disciplina dei salvataggi bancari verrebbe assicurata dall’Esm. Ma il governo italiano non accetterà, a meno di choc politico-finanziari per adesso invisibili all’orizzonte.