Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  settembre 22 Giovedì calendario

Luca Varani fu ucciso con 100 colpi. Lo dice l’autopsia

«Nemmeno una bestia si uccide così». Poche parole che rompono un silenzio lungo sei mesi, dette di getto per commentare la mattanza, perché l’omicidio di Luca Varani, il ventitrenne massacrato al Collatino, a Roma, il 4 marzo, da altri due ragazzi desiderosi di capire cosa si prova mentre si uccide, è durato a lungo. Il papà di Luca si lascia andare, nonostante la proverbiale riservatezza, il senso di dignità, il desiderio di non alimentare altre reazioni sull’incomprensibile omicidio del figlio, vittima per caso. Cento colpi. Per uccidere Luca Varani, Manuel Foffo e Marco Prato, il primo studente fuori corso, l’altro organizzatore di party per vip, hanno agito con calma e perfidia. Prendendo prima un martello, poi un pugnale e, alla fine, pure un coltello per il pane, per i tagli finali alla gola. Oltre settanta coltellate, di striscio e di punta, oltre venti colpi di martello. Non per provocare la morte immediata, ma la sofferenza. L’orrore è durato a lungo: tra la mezzora e le due ore, si legge nella perizia. Prima venti martellate alla testa e in bocca, mentre sono trenta le ferite da arma da taglio superficiali, inferte al solo scopo di provocare dolore e sofferenza. Con Luca Varani che non riusciva a morire, non voleva morire. Gli assassini si erano quasi meravigliati: «Non moriva mai», ha detto Foffo in uno dei sette interrogatori, alla fine Varani se n’è andato: dissanguato, senza avere mai avuto la forza o il tempo di reagire. «Nessun segno sulle mani, nessuna attività difensiva», ha concluso l’esame autoptico. Il suo dna è stato trovato nell’impugnatura del coltello conficcato al cuore, come ultimo sfregio, ma non perché abbia avuto modo di difendersi. Era uno schizzo di sangue. Ce n’erano altri sul pavimento, tamponato pure con stracci e asciugamani. Lo stesso pavimento in cui il cadavere è stato lasciato per una notte, mentre i due amici si appisolavano sul letto abbracciati.
LA PERIZIA
Acquisite le conclusioni dell’autopsia (centoventi pagine), il pm Francesco Scavo, ora punta a spedire a processo i due assassini. Nonostante Prato e Foffo abbiano cercato di scaricarsi le colpe a vicenda, per la procura ci sono indizi a sufficienza su tutti e due: il tranello con cui la vittima è stata invitata a casa di Foffo, per proseguire il party a base di sesso e coca che andava avanti da quattro giorni, il cocktail corretto versato alla vittima per stordirla, la complicità nell’uccidere. Dopo il mix di alcol e droga, che potrebbe avere attutito la coscienza di Varani, il ragazzo è stato trascinato dalla doccia alla camera da letto di Foffo e ucciso nudo, senza aver avuto approcci sessuali con gli assassini. Che anzi potrebbero aver cercato di violarne il corpo dopo. Chi abbia cominciato la mattanza non è ancora chiaro. È probabile che gli amici diabolici si siano alternati, visto che Luca Varani è stato torturato e seviziato tra il letto e il muro, in uno spazio troppo ristretto. Lo stesso letto dal quale Prato avrebbe baciato sulla testa l’amico Manuel Foffo come lui stesso ha raccontato – per incoraggiarlo a concludere il piano diabolico con il taglio delle corde vocali.
LA DROGA
Un piano che secondo la procura merita l’aggravante della premeditazione, in un primo momento rigettata dal giudice che ha firmato l’arresto. Due ragazzi ricchi e con famiglie solide alle spalle, ma gli esami tossicologici hanno stabilito che erano consumatori abituali di cocaina. Nonostante il campione del primo prelievo in carcere sia andato perduto, la conferma è arrivata lo stesso dal test ripetuto quattro giorni dopo. Foffo è risultato consumatore abituale di coca, Prato anche di tranquillanti. Gli stessi che ha ingurgitato in dosi massicce per provare a farla finita in un hotel all’indomani dell’omicidio. Una messinscena secondo gli inquirenti.
Mancano ancora i risultati degli accertamenti sui telefoni dei tre e sul pc di Prato. Oggi è previsto il primo doppio sopralluogo nella casa del delitto in via Igino Giordani e nella stanza d’albergo a piazza Bologna, dove Prato avrebbe tentato il suicidio. Periti e consulenti del gip e delle parti cercheranno altri riscontri.