Corriere della Sera, 22 settembre 2016
La tregua siriana è stata sabotata?
New York Errori o un vero e proprio sabotaggio della precaria tregua siriana, magari alimentato anche da chi quell’accordo l’aveva sottoscritto? Viviamo in un’era in cui le teorie dei complotti fioriscono in modo indiscriminato sotto ogni cielo. Con tanta gente che preferisce le suggestioni di narrative accattivanti alla verifica concreta dei fatti. Meglio, quindi, stare sempre coi piedi per terra. Ma quello che è successo in pochi giorni attorno al negoziato e poi sui cieli della Siria giustifica interrogativi e sospetti. Alle cinque del pomeriggio di sabato scorso due cacciabombardieri F-16 americani e due A-10, aerei corazzati, specializzati nell’attacco al suolo, hanno bombardato postazioni militari di Deir Ezzor, nella parte orientale della Siria. I piloti della US Air Force erano convinti di colpire postazioni dell’Isis e invece hanno ucciso 62 soldati dell’esercito di Assad ferendone altri 100. Ira dei russi, scuse degli americani per l’errore, ma anche il sospetto di essere stati in qualche modo spinti a sbagliare.
Martedì un convoglio di aiuti per la popolazione assediata nella regione di Aleppo messo in campo dall’Onu dopo l’accordo Usa-Russia per una tregua, è stato bombardato da misteriosi aerei che hanno distruttori 18 dei 31 camion autorizzati a raggiungere le zone controllate dai ribelli.
I primi sospetti sono caduti sull’aviazione di Damasco, tristemente famosa per i bombardamenti coi quali ha massacrato la popolazione civile di un Paese che in cinque anni di guerra ha già contato più di mezzo milione di morti. Poi, però, gli americani hanno messo sotto accusa i russi. E mentre Mosca proclamava la sua innocenza, sostenendo che al momento dell’attacco nella zona volava anche un drone Usa, l’intelligence degli Stati Uniti ha cominciato a fornire dati più precisi: come le immagini di un bombardiere russo Su-24 ripreso a brevissima distanza dal convoglio un minuto prima dell’attacco.
Fin dal momento della sua sigla tutti, anche a Washington e a Mosca, avevano riconosciuto che l’accordo per una sospensione delle ostilità in Siria era molto fragile: troppo esteso e feroce il conflitto, troppi attori in campo. E poi l’impossibilità di verificare i comportamenti sul terreno e di sanzionare le violazioni.
Ma ci si immaginava soprattutto una difficoltà dei firmatari, i ministri degli Esteri degli Stati Uniti e della Russia, di condizionare davvero il comportamento dei militari di Damasco e dei gruppi di ribelli anti-Assad. Invece fin dal primo momento l’accordo è apparso soggetto alle contestazioni delle stesse parti che l’avevano sottoscritto: appena firmata la tregua i russi hanno mostrato di non credere alla sua tenuta, mentre molti in America hanno considerato l’intesa più una trappola che un’opportunità. Clamorosa, soprattutto, l’opposizione esplicita del Pentagono e dei servizi segreti Usa a un accordo firmato da un esponente dello stesso governo, John Kerry: l’obiezione non riguardava la tregua, ma la cooperazione Usa-Russia per le missioni anti-Isis prevista dall’accordo. I militari americani non volevano essere costretti a fornire informazioni sul loro modo di intercettare i ribelli dello Stato Islamico dalle quali i russi avrebbero potuto capire il modo di operare dell’intelligence americana quando guida i droni armati anche in altri scacchieri del mondo.
Sospetti, accuse incrociate, gli americani infuriati con Mosca che continuava ad accusarli anche dopo che si erano scusati. Se non è saltato per un sabotaggio, il fallimento della tregua in Siria è la dimostrazione che l’influenza di Stati Uniti e Russia nell’area è molto inferiore a quanto fin qui immaginato. Ad appena dodici giorni dall’accordo, di quella tregua rimane solo l’ennesima resa dell’Onu e la rabbia impotente del segretario generale Ban Ki-moon: «Quando pensi che non possa andare peggio di così ecco che c’è qualcuno che porta ancora più in basso il livello della depravazione».