la Repubblica, 21 settembre 2016
Oleg Vorotnikov, l’artista russo anti-Putin che nessuno vuole in Europa
Sembra una tipica situazione da Guerra Fredda, ma in realtà è tutto più ambiguo e confuso. Da qualche giorno la polizia di Praga custodisce in una cella di sicurezza Oleg Vorotnikov, artista russo ribelle e anarchico, fondatore del gruppo d’avanguardia Voina (guerra). Voina è celebre per le sue performance irriverenti e spettacolari come il gigantesco fallo disegnato su un ponte levatoio di San Pietroburgo o i balletti inscenati nella cattedrale di Mosca dalle ragazze del gruppo punk Pussy Riot finite in carcere in una vicenda che tenne banco per anni sui media internazionali fino alla loro liberazione.
La Russia chiede l’estradizione di Vorotnikov che è ricercato per teppismo e vandalismo come molti altri artisti non graditi al regime e fuggiti negli ultimi anni, quando le maglie delle leggi anti- dissenso si sono fatte più severe. Nessuno a Mosca si aspetta che Praga possa consegnare ai giudici russi l’artista. Ma allo stesso tempo si confida che le autorità ceche seguano l’esempio di Italia e Svizzera che, per evitare complicazioni diplomatiche, hanno già abbandonato Vorotnikov al suo destino, espellendolo dopo averlo fermato.
Fuggito dagli arresti domiciliari a Mosca, nel 2013, l’artista vaga infatti da allora per l’Europa (è stato anche a Roma e Venezia) con moglie e due figli, senza documenti e senza che nessuno conceda loro asilo o protezione. Anche perché loro non la chiedono: «Non siamo né migranti né fuggitivi, solo viaggiatori cui è preclusa la strada del ritorno», dichiarava qualche giorno fa Vorotnikov a un inviato di Radio Liberty, l’ex Radio Free Europe, che credeva di trovarsi di fronte a un “dissidente” vecchio stile e che invece era rimasto spiazzato dalle dichiarazioni dell’artista che, ostinatamente controcorrente, definiva «la propaganda occidentale peggiore di quella russa». E che ammetteva addirittura di essersi «ricreduto su Putin dopo la giusta annessione della Crimea».
Dichiarazioni choc che non sono da considerare un pentimento, ma fanno parte dello spirito ribelle a tutti i costi dei ragazzi di Voina. Oleg e la moglie Natalia, laureati in filosofia, sulla quarantina, sono noti in Russia con i loro nomi di battaglia: Vor (ladro) per lui, e Kosà (capra) per lei. Fanno parte di un movimento di almeno 60 artisti, nato all’università di Mosca poco dopo il Duemila. Tra i leader c’era anche Leonid Nikoalev, morto un anno fa, e la futura leader delle Pussy Riot, Nadia Tolokonnikova. Le loro esibizioni, spesso a sfondo sessuale, ma soprattutto dissacratorie dell’autorità, ebbero grande successo presso la critica e gli intellettuali russi. Nel 2011 il ministero della Cultura di Mosca assegnò loro perfino l’ambito premio “Innovazione”: l’equivalente di 10mila euro. I giornali elogiarono la scelta di devolverli alla Ong Agorà che si batteva per i diritti umani. Poi però la svolta. L’adesione degli artisti alle proteste di piazza. La stretta imposta da Putin. L’Innovazione che diventa “vandalismo”, gli arresti, e le fughe. La stessa Agorà è stata chiusa un mese fa in quanto «agente straniero».