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 2016  settembre 21 Mercoledì calendario

Storia di Matteo Cagnoni, «il dermatologo delle dive» che ha ucciso sua moglie a bastonate

L’uomo da sposare ha ucciso sua moglie a bastonate. E con i dettagli forse è meglio fermarsi qui.
Te lo sei fatto scappare, fu il rimprovero delle socie anziane del Circolo dei forestieri alle loro figlie ancora in cerca di sistemazione quando lui finalmente decise di fare sul serio. Ravenna è un posto all’antica, e non solo per i suoi mosaici, le basiliche e il mausoleo di Galla Placidia.
«Siamo gente di giri chiusi» dice un proverbio locale. Fino a dieci anni fa Matteo Cagnoni rappresentava il partito ideale. Era bello, ricco, serio. Il padre Mario era docente universitario e primario dell’ospedale di Careggi, erede di una famiglia di famosi armatori. Lui aveva seguito il suo esempio, laurea con 110 e lode, pubblicazioni sulla rivista scientifica The Lancet, dermatologo affermato. E ogni fine settimana, quando rientrava da Firenze, portava con sé racconti del mondo fuori, soggiorni negli Stati Uniti, aggiornamenti professionali a Londra.
I suoi ritorni a casa avevano una ragione precisa. «È un uomo ipercontrollato che si è costruito pezzo per pezzo, senza lasciare nulla al caso» racconta il dottor Lorenzo Vanni, suo concittadino e compagno di università. «Ha sempre saputo in anticipo quel che voleva». La sua casella mancante era Giulia Ballestri, che rappresentava il suo equivalente femminile quanto ad avvenenza e posizione sociale. L’aveva conosciuta nel suo ambulatorio, via Carlo Cattaneo, in pieno centro storico, complice una visita di controllo per un fastidioso fungo. Era il 2005. Il corteggiamento era stato spettacolare, con tanto di Bentley bianca ad attendere sotto casa di lei il giorno del fidanzamento. La resistenza di Giulia, incerta se abbandonare il lavoro nell’azienda di famiglia, durò un anno.
Adesso che il peggio è avvenuto è tutta una ricerca delle crepe sulla facciata di una vita perfetta. La villa a Cortina, il mare d’inverno in Florida, Giulia che ogni mattina portava nella scuola privata i loro tre bambini vestiti in giacca blu e cravatta verde come i milordini inglesi. «Lui era molto concentrato su se stesso» sospira Gianluigi Fabbri, avvocato, vicino di casa, amico di entrambi. «Ma essere ambiziosi non è un crimine». Scriveva sul giornale della diocesi. Ogni domenica mattina dopo la messa portava i bambini alla Pasticceria Veneziana, e poi prendeva l’aperitivo con la moglie al Caffè Belli. Ma il piccolo mondo di Ravenna gli stava stretto. «Lo sappiamo tutti come va, no?» dice un suo parente che chiede di restare anonimo. «I soldi, i figli, la bella moglie... A un certo punto ci si annoia e si cerca altro. Come via di fuga lui aveva scelto l’affermazione di se stesso».
Nel sito e nelle cartelle di presentazione che curava personalmente si definiva «dermatologo delle dive». A conti fatti si trattava di una mezza bugia, che aveva però fatto la sua strada portandolo dove voleva, agli studi di Uno mattina, alla corte di Gigi Marzullo, a una notorietà che cercava in modo incessante, martellando gli uffici stampa della riviera romagnola.
Nel 2013 aveva organizzato un evento per aiutare Linea Rosa, una associazione che aiuta le donne vittime di abusi. «Sempre elegante, ci teneva a mostrarsi efficiente», così lo ricorda la presidente Alessandra Bagnara, che spesso lo incontrava in centro, con i bambini per mano.
La villa disabitata dove ha ucciso Giulia in modo atroce, alla fine di un inseguimento cominciato al piano rialzato e concluso in cantina, era al tempo stesso il suo cruccio e il suo punto d’arrivo. Da anni sognava la ristrutturazione di quella dimora di famiglia immersa nel verde tra cedri del Libano e oleandri, appena dietro la basilica di Santa Maria in Porto. L’attico nella zona di San Rocco dove viveva da dieci anni non gli piaceva. Era fuori dalle mura, diceva. Giulia invece stava bene dov’era, la casa era vicina alle scuole. Nel cortile dove marito e moglie giocavano spesso a pallone con i figli si aggirano giornalisti e curiosi. Sempre la stessa domanda. Come è possibile, un uomo di successo, con una famiglia così bella. E allora la serenità diventa inevitabilmente di facciata, lei aveva una faccia triste, le solite cose con il senno di poi.
Matteo Cagnoni teneva molto alle apparenze. Non accettava scalpellate sul monumento che aveva deciso di erigere a se stesso. Quando venne indagato e poi prosciolto per una vicenda di corruzione nel settore farmaceutico aveva diffidato i giornalisti che tanto vezzeggiava dal fare il suo nome. Al Circolo dei forestieri in Palazzo Rasponi, alternativa rampante al più compassato Rotary cittadino, aveva rotto parecchie amicizie come conseguenza di sfottò non graditi. Nel gennaio del 2014 aveva parcheggiato il suo Chrysler su un passo carraio in via Cattaneo. Erano arrivati i vigili. Ventotto euro di multa. Minacciò di travolgere gli agenti con il suo fuoristrada. Fu denunciato per resistenza a pubblico ufficiale. «Ma è inutile cercare appigli» dice la dottoressa Bagnara. «La classe sociale non c’entra nulla. C’è soltanto l’incapacità di accettare la scelta della propria donna. Un virus contro il quale non esistono anticorpi».
A voler eliminare la cornice di una vita agiata in fondo è una storia semplice, come tante, troppe. Forse Giulia se ne stava andando, forse aveva trovato un’altra persona. Matteo aveva ingaggiato un investigatore privato. Poi l’aveva pedinata di persona. Domenica sera l’ha portata nella casa che doveva diventare la loro reggia. E l’ha uccisa.