la Repubblica, 21 settembre 2016
Obama se la prende con Putin («vuole resuscitare l’antica gloria della Russia con la forza delle armi») ma anche con le prepotenze espansioniste della Cina («spaventa i suoi vicini»)
C’è un mondo che sprofonda nel caos. E ci sono quelli che cavalcano l’instabilità illudendosi di trarne vantaggi politici di breve termine (Vladimir Putin, Donald Trump).
Gli addii paralleli di Barack Obama e Ban Ki-moon alle Nazioni Unite dipingono lo stesso affresco tempestoso. «Sono davanti a voi per l’ultima volta», dice il presidente americano, ed è così anche per il segretario generale uscente. Più liberi di parlare, non fanno sconti a nessuno. Mostrano comprensione verso le paure dell’Occidente, capiscono le angosce che alimentano nazionalismi, xenofobia, protezionismi. Ma non perdonano quei leader che soffiano sul fuoco, aizzano gli egoismi, considerano la guerra la naturale “prosecuzione della politica”, alla von Clausewitz. Da Vladimir Putin a Xi Jinping, Obama non ha dubbi su chi stia dalla parte sbagliata della storia. Anche se il tribunale della storia ha tempi lunghi prima di emettere i suoi verdetti.
Ma il presidente Usa non è solo nei suoi attacchi: sulla Siria è il segretario generale uscente dell’Onu Ban Ki-moon a usare i toni più duri contro Bashar al Assad: «Tanti gruppi hanno ucciso molti civili, ma nessuno ne ha uccisi di più del governo siriano, che continua a bombardare quartieri e a torturare migliaia di detenuti». Denunciando «l’attacco disgustoso, barbaro e deliberato» contro un convoglio umanitario ad Aleppo che ha fatto 21 morti lunedì sera, Ban osserva sconsolato: «Proprio quando pensi che niente possa andare peggio, la soglia della bestialità si abbassa». Anche lui stigmatizza l’ostilità con cui rifugiati e migranti vengono accolti, costretti ad affrontare «stereotipi e sospetti che echeggiano un passato oscuro». Il suo monito finale è verso i leader che cavalcano il populismo: «Voglio dire a leader politici e candidati: non impegnatevi nel pericoloso e cinico calcolo matematico che punta ad aumentare i voti, dividendo la gente e moltiplicando la paura».
È il prologo di un durissimo scambio di accuse fra gli Stati Uniti e la Russia, con fonti dell’Amministrazione Obama che fanno filtrare ai media americani la notizia che a colpire il convoglio sarebbero stati aerei di Mosca e i russi che ricordano il bombardamento in cui, qualche giorno fa, sono rimasti uccisi oltre 60 soldati siriani, decretando di fatto l’inizio della fine della tregua negoziata solo qualche giorno prima.
Poi sul palco è salito Obama: il presidente ha elencato tra i grandi mali del nostro tempo le diseguaglianze, il fanatismo religioso, i nazionalismi guerrafondai. Ha riconosciuto che per una parte delle nostre popolazioni il disagio economico e l’insicurezza spingono ad un ritorno verso il passato, ad alzare i ponti levatoi, a isolarsi da un mondo minaccioso. Ha condannato queste risposte come illusorie, oltre che pericolose. La soluzione che ha indicato, sta nel costruire una globalizzazione diversa, più equa, rispettosa dei diritti, sostenibile per l’ambiente, capace di diffondere a tutti i suoi benefici. La sua analisi del caos mondiale ha messo dentro gli apprendisti stregoni che soffiano sul fuoco: l’aggressione della Russia verso Crimea e Ucraina; le prepotenze espansioniste della Cina che spaventano i suoi vicini. Un illuso, Putin, se pensa davvero di poter «resuscitare l’antica gloria della Russia con la forza delle armi».
Ma Obama, fedele a se stesso e a quel realismo post-moderno che tanti suoi concittadini non gli perdonano, non ha predicato una Pax Americana come soluzione a tutte le crisi. Anzi è stato più che mai portatore di una visione limitata della potenza americana nel raddrizzare i torti del mondo. «L’epoca degli imperi è dietro di noi». Non è certo mandando corpi di spedizione a invadere terre lontane che si spegneranno i focolai di odio, altrimenti ci sarebbe riuscito George W. Bush.
C’è infine stato posto per le stoccate implicite a Trump; e per una preoccupata analisi del crescendo di “nativismo” che seduce fasce di popolazione americana ed europea spaventate dall’immigrazione. Su questo tema Obama ha annunciato un accordo che prevede che oltre 50 paesi raddoppino il numero dei profughi accolti, arrivando a quota 360mila.