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 2016  settembre 20 Martedì calendario

Su Kissinger che non apprezzava Moro ma tesseva le lodi di Napolitano

Come giudica l’atteggiamento dell’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger, che non faceva mistero di nutrire antipatia per Aldo Moro, da lui giudicato troppo arrendevole nei confronti del Partito comunista, e che in seguito non lesinerà lodi nei riguardi dell’ex presidente Giorgio Napolitano, che di quel partito era stato uno dei principali esponenti?
Severo Ferrari

Caro Ferrari,
Credo che lei parli di due Kissinger alquanto diversi. Il primo fu al vertice del Consiglio per la sicurezza nazionale durante la presidenza di Richard Nixon e segretario di Stato dal 1973 al 1977. Credeva che l’Unione Sovietica non avesse rinunciato a sfruttare le debolezze del sistema occidentale e fosse minacciosa soprattutto là dove esistevano partiti «fratelli» e difese istituzionali particolarmente fragili. Le sue maggiori preoccupazioni erano per l’America Latina dove il castrismo e il guevarismo esercitavano ancora una forte attrazione in Cile, Argentina, Brasile e altri Paesi del subcontinente. È probabile che abbia attribuito all’Urss, in quelle vicende, maggiori responsabilità di quante effettivamente ne avesse. Ma erano gli anni della Guerra fredda e le sue preoccupazioni erano comprensibili. È probabile che la Cia, nel 1973, abbia avuto uno zampino nel colpo di Stato cileno, ma Salvador Allende aveva perduto il controllo della situazione e stava cedendo alla influenza della sinistra massimalista.
L’Italia, ai suoi occhi, presentava problemi analoghi. Il «compromesso storico», lanciato da Enrico Berlinguer sulle colonne di Rinascita, piaceva a una parte della Democrazia cristiana di cui Aldo Moro era allora il maggiore esponente. Il segretario di Stato americano e il presidente del Consiglio italiano non erano fatti per intendersi. Kissinger parlava il linguaggio della realpolitik e andava al cuore del problema; mentre Moro si esprimeva con periodi lunghi e concetti sottili. Nelle sue memorie il segretario di Stato lascia trapelare una certa frustrazione per i suoi contatti con la classe politica italiana, verbosa e sfuggente, spesso più interessata alle apparenze che alla sostanza dei problemi.
Il secondo Kissinger è alquanto diverso. Quando l’Urss si disintegrò, non cantò vittoria. Era realisticamente convinto che una grande Russia, dopo il tramonto del comunismo, sarebbe stata utile alla stabilità dell’Europa. In Giorgio Napolitano ha apprezzato la serietà del percorso politico e la chiarezza del messaggio che stava cercando di trasmettere agli italiani e all’Europa. Il fatto che la sua vita politica fosse cominciata tra le file del Partito comunista non suscitava in Kissinger sospetti e diffidenza. Anche lui aveva dimostrato di sapere cogliere e accettare le lezioni della realtà.