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 2016  settembre 20 Martedì calendario

Il campione di Triathlon che rinuncia a vincere per aiutare il fratello a finire la gara

Questa non è una storia che sarebbe piaciuta a un romanziere. Perché da che mondo è mondo, da Caino in poi, i fratelli lottano e si ostacolano, si odiano e detestano. Freud e la psicanalisi ci hanno spiegato che sono loro i nostri primi nemici, perché i primi a cui contendere l’affetto di mamma e papà.
Per fortuna non è sempre così, e per un fratello (o una sorella) in difficoltà si può persino rinunciare a vincere la tappa finale delle World series di Triathlon. Questo ha fatto Alistair Brownlee, 28 anni, straordinario campione britannico, due ori olimpici a Londra e Rio, che dopo aver nuotato un chilometro mezzo, pedalato per 40, e corso a piedi per oltre nove, si è trovato davanti il fratellino Jonny, due anni e 7 giorni più piccolo, in preda a una crisi, sul punto di stramazzare a terra come un sacco svuotato, e non ci ha pensato un attimo a decidere cosa fosse giusto fare.
Jonny, il piccolino, anche lui atleta fortissimo, argento a Rio e bronzo a Londra, domenica nella prova messicana di Cozumel era stato fino ad allora il più bravo. Solo in testa a trecento metri dal traguardo, dopo un’ora e tre quarti di gara, vittoria di tappa ormai vicina, e punti decisivi per diventare il campione del mondo 2016. Trecento metri per un triathleta sono un soffio, si sono trasformati in un muro. «Normalmente si beve troppo. In questo caso è stato l’opposto» ha spiegato dopo Jonny.
Mancavano solo trecento metri e forse non sarebbe mai arrivato se ci non fosse stato dietro il fratellone. Alistair era una ventina di metri in ritardo, e con lui il sudafricano Henri Schoeman. Ha visto Jonny in difficoltà, sorretto dai volontari, lo ha raggiunto, ha afferrato il suo braccio e lo ha passato attorno al proprio collo. Gli ha parlato, lo ha incitato e sorretto. Jonny non ha nemmeno avuto la forza di girarsi a guardarlo, chissà quando ha capito che era arrivato il fratellone a salvarlo. Le telecamere fisse, sul rettilineo finale, a questo punto hanno staccato e ripreso i due Brownlee di spalle, due sagome appaiate, uno sbilenco, l’altro che non lo molla, gli stessi colori, lo stesso cognome stampato sul body. Gli spettatori li hanno accompagnati urlando e sventolando bandiere, una scena che sembrava già scritta in sceneggiatura.
Così Jonny è riuscito a finire la sua gara, con Alistair che lo ha lasciato solo alla fine, scaraventandolo letteralmente oltre la linea del traguardo, come quando due fratelli litigano e si spingono, ma questa volta altro che violenza.
Una favola insomma. Ma, classifica alla mano, senza lieto fine. Alistair per aiutare Jonny ha rinunciato a vincere la gara di domenica; Jonny, anche se è arrivato secondo, non ce l’ha fatta a guadagnare i punti necessari per laurearsi campione del mondo, superato di appena 4 (su 4.819) dallo spagnolo Mario Mola. E la Federazione spagnola ha addirittura chiesto la sua squalifica. Meno male che la burocratica regola 7, appendice K, del regolamento, che autorizza l’aiuto se proviene da un altro atleta, non ha vanificato quel gesto di generosità familiare.
Jonny ha scritto su Twitter, postando la sua foto sul letto d’ospedale dove è stato ricoverato per accertamenti, che certo non «era il finale di stagione che voleva», e si è rivolto al fratello ringraziandolo per «la tua lealtà incredibile». Alistair è stato lucido anche nelle sue spiegazioni. «Qualche anno fa era successo lo stesso a me. A un chilometro dall’arrivo non c’è più assistenza medica, è pericoloso se ti trovi proprio lì. Così mi sono ripromesso che se avessi visto un altro in quella situazione, lo avrei aiutato».
È capitato addirittura al fratello, che un mese fa a Rio, giunto al traguardo, si era steso accanto a lui e gli aveva stretto la mano come un innamorato. «Primo e secondo alle Olimpiadi, non potremo fare di meglio» avevano commentato. E invece forse si sono superati.