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 2016  settembre 20 Martedì calendario

Negli ospedali mancano 47mila infermieri, i pazienti non sono al sicuro

Carlo è iscritto nel registro degli indagati. Lo hanno denunciato i familiari di una paziente. Per mancata assistenza. A lui imputano la caduta dal letto della zia 83enne (ricoverata per disturbi neurologici), il conseguente trauma cranico e il successivo trasferimento in rianimazione. Ma Carlo, infermiere professionale dell’Area critica del San Paolo di Napoli, non ci sta. Dice: «quella notte avevo accompagnato due volte l’anziana in bagno e lei non è affatto caduta». Sventola tra le mani il referto della risonanza: emorragia cerebrale: «Ecco la vera causa delle sue condizioni attuali». Adesso la palla passa al giudice. Ma resta il fatto, aggiunge Carlo, che casi del genere sono tutt’altro che infrequenti. Cadute dal letto e traumi cranici? Non se ne registrano spesso, eppure ci sono.
«Ma cosa ci si meraviglia a fare – interviene la caposala del reparto di Emergenza (in rigoroso anonimato) – basta fare un po’ di conti per capire come si va avanti. La divisione conta 14 letti, ma ogni giorno ci sono almeno tre, quattro pazienti aggiunti. In barella. Ebbene, qui in tutto prestano servizio solo tre infermieri, di notte senza ausiliario e con un sovraccarico di 18 ricoverati, invece di 14». Non lo dice ma lo si intuisce, con questi numeri e col tipo di patologie (ictus, infarto, traumi, emergenze chirurgiche) il rischio di sbagliare è concreto.
Accade al San Paolo di Napoli, avamposto di frontiera di una città “bollente”, ma succede ovunque in Italia. Perché dappertutto, salvo poche eccezioni, gli infermieri ancora in servizio, sono pochi, in gran parte over 50 (ma anche over 65) e gravati da turni massacranti. Per lo più notturni e in reparti di emergenza. In aggiunta, con scarse garanzie contrattuali e mai sostituiti quando vanno in pensione. Da un lato il rischio professionale, dall’altro i pericoli che corrono i pazienti. Di non ricevere la terapia all’ora stabilita o di non ottenere risposta quando suonano il campanello. «E questi sono solo disservizi – sorride la caposala – i guai, quelli seri, si verificano quando un collega, dopo 10 ore filate a correre da un letto all’altro, si confonde e somministra a un paziente un farmaco destinato a un altro. Ed è successo, purtroppo».
A lanciare l’allarme è l’Ipasvi, la sigla che riunisce in federazione “Infermieri professionali, assistenti sanitari e vigilatrici d’infanzia”. L’analisi che ha fotografato l’Italia è impietosa. Rivela che mancano 47mila sanitari per rientrare nei parametri di sicurezza. In cinque anni, tra il 2009 e il 2014, si sono persi circa 7500 infermieri. Come sempre il più penalizzato risulta il sud e le regioni in piano di rientro. In particolare Campania (2102 parasanitari in meno), Lazio (– 1893)e Calabria (– 1444) che da sole registrano un’emorragia di 5439 unità, cioè il 72,5 per cento del totale.
E invece si dovrebbe riflettere su un dato: più personale c’è in corsia, migliore è la sopravvivenza dei ricoverati. A confermarlo sono vari studi internazionali, secondo cui se a un solo infermiere vengono assegnati sei pazienti da assistere al posto di 10, la mortalità si riduce del 20 per cento. Ma in Italia le cose non stanno così, la proporzione è di 12 a uno, con punte, sempre nelle regioni con blocco del turn over, dove si registrano 18 pazienti per infermiere: un terzo di quelli necessari per il benessere dei malati. L’ultimo studio Cergas-Bocconi rivela che il 15% degli infermieri non è idoneo a qualcosa per questioni di salute. E se stanno male gli infermieri, figuriamoci i rischi che corrono i pazienti affidati a loro.
Ancora una volta da un’indagine ad hoc si scopre che gli errori aumentano di tre volte quando gli infermieri hanno già svolto turni straordinari oltre le 12 ore. Burnout, per essere chiari. La sindrome, entrata ormai nel lessico quotidiano, riguarda in misura notevole anche gli infermieri. L’ultima denuncia, appena cinque giorni fa, è arrivata dal Gaslini, il polo pediatrico genovese, punto di riferimento per migliaia di bambini di tutta Italia. Anche lì si registra una condizione di emergenza causata da sovraccarico e penuria di infermieri e operatori socio-sanitari. A Genova come altrove, non c’è bisogno di interpretare i dati: mancano 70 infermiere, secondo un calco- lo della Cgil, e quelle in servizio hanno superato di molto i 40 anni, spesso i 50. «Ma nel nostro caso parliamo di assistenza a malati delicati come i bambini racconta Francesca, alla fine del turno pomeridiano – e se noi siamo sopraffatte da un’attività delicata e senza sosta, come possiamo essere sicure di fare sempre bene per assistere i piccoli pazienti? I vertici hanno promesso una riorganizzazione interna e l’assunzione di personale attraverso un concorso. Possiamo solo sperare che sia vero».
Sottolinea la presidente Ipasvi Barbara Mangiacavalli: «Questi numeri dovrebbero essere utili come base per la trattativa dei sindacati. La carenza è evidente e la situazione traballa più che altro nelle regioni in piano di rientro che rappresentano il 47 per cento della popolazione italiana». A peggiorare il quadro, il nullaosta della mobilità interregionale non viene concesso con facilità. Sarebbe una boccata d’ossigeno che consentirebbe agli infermieri attivi in territori meno penalizzati di “tornare a casa”. Cioè di rientrare in quelle regioni del sud commissariate che più delle altre sono a corto di personale. Come pure, sempre nell’ottica-tampone, l’Ipasvi suggerisce l’assunzione part-time al 50% di circa 9-10mila unità: una quota che si aggiungerebbe al 10% dei 270mila infermieri del Ssn che è già a tempo parziale. Soluzioni ovvie, ma non scontate. Alla luce degli ulteriori tagli alla sanità prospettati qualche giorno fa dal governo, è intervenuta l’Anaao. Il più importante sindacato dei medici ospedalieri, chiede interventi urgenti per evitare la débacle.
Un timore che il segretario Costantino Troise sintetizza così: «La verità è che undici milioni di cittadini oggi rinunciano a curarsi per difficoltà economiche. E la ministra della Salute non può dimenticare gli impegni assunti come priorità per il biennio 2016-17: farmaci innovativi e personale». In attesa, il personale stringe i denti e va avanti. Fino a quando?