la Repubblica, 20 settembre 2016
Il New Jersey al centro dell’islamismo radicale americano
Come in una maledizione, si torna dove tutto è cominciato. Alle bombe nel World Trade Center a Manhattan, nel 1993. All’11 Settembre 2001 e al volo suicida United Airlines 93 che si alza dall’aeroporto di Newark mentre le Torri Gemelle collassano in un inferno di fuoco facendo strage di 2.752 innocenti. Si torna nel New Jersey. Sulla riva destra del fiume Hudson.
E questa volta la violenza islamista non ha il profilo dell’egiziano Omar Abdel Raham, lo “sceicco cieco” leader di Al-Gama’a al-Islamiyya, riparato a New Jersey city, che per primo progettò, senza riuscirvi l’orrore a Manhattan, con la deflagrazione simultanea del Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, il Lincoln e l’Holland tunnels, il ponte George Washington, il grattacielo sede del Fbi, e oggi ergastolano in North Carolina, nel penitenziario federale di Butner.
Questa volta la ruota si ferma sul volto e il nome di un corpulento ragazzo naturalizzato afgano di 28 anni, Ahmad Khan Rahami, cresciuto nella friggitoria di famiglia, la “First American Fried chicken”, in quel di Elisabeth City, nella contea di Union, una delle 21 del “Garden State”, lo Stato Giardino con la quinta comunità musulmana più numerosa degli Stati Uniti. Poco più di 160mila fedeli, in maggioranza sunniti, su una popolazione che sfiora i 9 milioni di anime. Divisi nel culto tra 98 moschee ufficiali e per lo più concentrati nelle cinque contee del nord – Essex, Hudson, Middlesex, Passaic e, appunto, Union – che fanno da corona all’area metropolitana di New York.
Si capirà nelle prossime ore se Ahmad è davvero un lupo solitario. O, al contrario, il ring-leader di un branco in fuga. Quel che conta è che il suo nome allunga di un’altra spanna i precedenti incroci del New Jersey e della sua comunità musulmana con il Terrore Islamista. Promettendo di farne, non a caso, una trincea della propaganda della campagna di Donald Trump e di Christopher James Christie, che dello Stato è il governatore e che a Trump ha conteso fino allo scorso febbraio la nomination per le presidenziali.
Del ’93 e del 2001, si è detto. Storia di tre e quattro lustri fa. E se è probabilmente solo una disgraziata coincidenza che a Jersey City fosse cresciuta la moglie afgana di Omar Mateen, il sociopatico del massacro di Orlando (49 morti nella notte tra l’11 e il 12 giugno nel club gay “Pulse”), lo è meno la parabola di Mohamed Mahmood Alessa e Carlos “Omar” Eduardo Almonte, il primo di origini giordane, il secondo dominicane, cresciuti in New Jersey in scuole cattoliche, convertiti all’Islam e arrestati il 5 giugno del 2010 all’aeroporto Jfk di New York mentre tentavano di imbarcarsi su un volo per la Somalia dove si sarebbero dovuti unire alle milizie di Al-Shabaab, succursale qaedista nel Corno d’Africa.
A Buena, New Jersey, era nato da una famiglia somala Sharif Mobley, che a Newark aveva vissuto la sua vita adulta di radicalizzazione che lo aveva portato a viaggiare tra il “Garden State” e lo Yemen, dove, nel 2008, era diventato uno degli uomini più vicini ad Anwar Al-Awlaki, allora leader di Al Qaeda nella Penisola Arabica. Al-Awlaki sarebbe stato ucciso da un drone statunitense e Sharif Mobley sarebbe stato arrestato dalla polizia yemenita. Ma, ancora una volta, il New Jersey si confermava contesto fertile di fenomeni di radicalizzazione e, soprattutto, hub operativo di riferimento sulla costa Atlantica. Come avrebbe pure dimostrato la storia di Yousef Mohammid al-Kattab, ragazzo nato da una famiglia ebrea del New Jersey in quel di Atlantic City con il nome di Joseph Leonard Cohen. Convertito all’Islam, sarebbe partito dagli Stati Uniti per la Palestina, da cui avrebbe fatto poi ritorno nel 2007 per mettere in piedi il “Revolution Muslim”, un’organizzazione con un sito on-line che, come avrebbero dimostrato le indagini dell’Fbi, si occupava del reclutamento di giovani musulmani per lala Jihad in Afghanistan, in Iraq e ovunque si combattesse la guerra contro i Crociati. Yousef Mohammid al-Kattab viene condannato nel 2014 a due anni e mezzo di reclusione.
Ma la sua storia, le sue origini ebraiche, provano come nel melting pot religioso del New Jersey i percorsi di radicalizzazione seguano traiettorie proprie. Come quella dei fratelli albanesi Dritan, Shain e Eljvir Duka, arrivati come profughi a Cherry Hill, città sulla riva sinistra del fiume Delaware che guarda Philadelphia e lo Stato confinante della Pennsylvania. Li arrestano mentre tentano l’acquisto di Ak-47 e M-16 per dare corso al loro progetto di assalto a Fort Dix, base logistica dell’esercito a sud di Trenton.
Non è un caso, del resto, che in New Jersey si sia consumato negli ultimi anni il massimo sforzo di intelligence e prevenzione del New York Police Department, con un programma di sorveglianza e “profiling” ai limiti della Costituzione (e per questo oggi sub iudice di fronte a una Corte dello Stato), con la schedatura e l’ascolto di luoghi ed esponenti della comunità islamica, in una ossessiva attenzione a centri di indottrinamento come l’-I-slamic Society della contea di Monmouth, l’Islamic Center di Jersey City e l’Islamic Center della contea di Passaic.