Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  settembre 20 Martedì calendario

Due italiani sono stati rapiti in Libia

Il trillo del telefono. «Buongiorno, è la Farnesina». Quando si ha un familiare che lavora in una zona a rischio come la Libia, basta questa frase per togliere il fiato. È iniziato così l’incubo dei parenti di Bruno Cacace, 56 anni, cuneese di Borgo San Dalmazzo, e di Danilo Calonego, 66 anni, originario di Peron, nel Bellunese, rapiti ieri assieme a un collega canadese da un gruppo armato mentre si trovavano a Ghat, nel Sud del Paese, per un’attività di manutenzione dell’aeroporto.
Quanto accaduto ai tre tecnici, che si trovano in Libia per conto della Conicos di Mondovì, fa ripiombare l’Italia nel dramma dei sequestri. L’ultimo, angosciante, quello dei quattro dipendenti della Bonatti, tenuti prigionieri per otto mesi, fino a marzo di quest’anno, quando in circostanze ancora poco chiare due di loro vennero uccisi.Al momento il rapimento non è stato rivendicato e nemmeno ci sono elementi che lo riconducano all’Isis o ad al-Qaeda. Secondo alcune fonti, tuttavia, non si tratterebbe di un’azione specifica contro l’Italia: la zona è attraversata da traffici illegali, di armi e di esseri umani, e gli analisti non escludono alcuna pista.
Il caso viene seguito in prima persona dal premier Matteo Renzi, che da New York è in contatto con il ministro degli esteri Paolo Gentiloni e l’autorità delegata ai Servizi, il sottosegretario Marco Minniti.
Intanto la procura di Roma ha aperto un’inchiesta per sequestro di persona con finalità di terrorismo. Sebbene non sia chiara la dinamica dell’accaduto, alcuni elementi sono stati resi noti da Komani Mohamed Saleh, sindaco di Ghat, città sotto il controllo del governo di unità nazionale di Tripoli, riconosciuto dall’Onu: «Sconosciuti hanno sequestrato all’alba un canadese e due italiani. Si sta lavorando per conoscere il gruppo dei rapitori e il luogo dove sono stati portati i tre».
Secondo altre fonti libiche «uomini mascherati che si trovavano a bordo di una vettura 4x4, hanno fermato vicino alla cava di El-Gnoun un’auto dove si trovavano degli stranieri che stavano viaggiando verso il loro posto di lavoro vicino all’aeroporto di Ghat, prima di sequestrarli».
Cacace e Calonego conoscono bene la Libia, dove vivono da anni, e i rischi che si corrono. Dopo quanto accaduto ai colleghi della Bonatti, le aziende che lavorano in quest’area erano state invitate a impiegare personale locale per evitare rischi. Tuttavia la zona di Ghat, nel sud-ovest del Paese, non è considerata particolarmente pericolosa, abitata da tribù tuareg alleate del governo di Tripoli, per quanto anche tra clan rivali possano verificarsi scontri e gli occidentali possano sempre diventare un obiettivo per fare bottino.
«È un brutto colpo per la nostra comunità – afferma il sindaco di Borgo San Dalmazzo, Giampaolo Beretta – Conosco personalmente Bruno Cacace anche se vive in Libia da 15 anni. È sempre stato un gran lavoratore, mi auguro che questa situazione si risolva presto». Cacace, una moglie e due figlie che vivono in Francia, tornava di tanto in tanto nella cittadina cuneese a trovare la madre, il fratello gemello e la sorella. «Siamo in attesa di notizie, sono momenti molto difficili», affermano i familiari.