la Repubblica, 20 settembre 2016
Storie di medici che lavorano tra le bombe
Chi è stato a Central Park ricorderà forse una curiosa statua di un cane, la cui didascalia purtroppo viene ignorata dai molti che frequentano lo splendido polmone verde di New York. Il cane scolpito è Balto e la sua storia rappresenta la fase eroica, un tempo socialmente riconosciuta, delle vaccinazioni, di cui oggi purtroppo si è persa traccia. A metà dicembre del 1924 a Nome, un villaggio di 10 mila anime sulla costa dell’Alaska orientale affacciato sullo stretto di Bering, il medico condotto Curtis Welch iniziò a notare nella popolazione infantile un preoccupante aumento di tonsilliti che dopo qualche giorno si rivelò essere un’incipiente epidemia di difterite. Nel giro di un mese morirono cinque bambini per il soffocamento dovuto alle tossine del batterio. Welch scoprì che le dosi di siero anti-difterico del villaggio erano scadute e comunque insufficienti, e i mesi invernali rendevano impossibili trasporti in nave o aereo. L’unica possibilità di salvezza dell’intero villaggio, ormai in quarantena, fu consegnata a un telegramma nel quale si chiedeva a Washington un’immediata spedizione di un milione di dosi di siero (che trasferiva passivamente l’immunità perché conteneva già gli anticorpi contro le tossine, dopo qualche anno si riuscì a detossificare le tossine creando un procedimento più sicuro e duraturo perché capace di creare l’immunità attiva, come avviene oggi quando si produce parte del vaccino trivalente DTP, contro difterite, tetano e pertosse). Ma la distanza che separava Nome da Nenana, l’unico punto agibile di partenza del siero, era di 1085 km, richiedeva di norma 25 giorni di viaggio. Troppi. Vennero dunque reclutate le migliori squadre per un totale di venti uomini e 150 cani che riuscirono a percorrere quella distanza in cinque giorni e sette ore, a temperature che raggiungevano i 40 gradi sotto zero. Balto è il cane che compì l’ultima staffetta.
La sua storia fatta di freddo e luoghi sperduti racconta il paradosso delle società moderne verso le vaccinazioni. A diffidare irrazionalmente dei vaccini sono infatti i genitori abbienti e culturalmente sofisticati delle società occidentali, e mai i genitori della parti meno fortunate del pianeta, se non in casi isolati dovuti al radicalismo religioso. Dove ha luogo oggi un’altra storia eroica, quella delle numerose vittime che ogni anno si contano tra i vaccinatori della poliomielite, uccisi perché ritenuti veicolo di farmaci, comportamenti o politiche sanitarie occidentali, e dunque sospette. Negli ultimi anni nel Pakistan sono morte ottanta persone tra vaccinatori e guardie loro assegnate per la protezione, nove operatrici in Nigeria nel solo 2013, e quattro in Afghanistan nell’ultimo biennio.
La sfida del freddo e il raggiungimento di villaggi reconditi caratterizzano anche la suggestiva via ghanese alla vaccinazione. I vaccini, infatti, hanno bisogno di essere conservati a una bassa temperatura nei frigoriferi sino al momento dell’inoculo, un serio problema che molti paesi caldi affrontano con gravi difficoltà avendo una inefficace “catena del freddo”. Il Ghana corse ai ripari dopo che alcuni lotti di vaccino esposti al caldo furono incapaci di impedire un’epidemia di vaiolo nonostante l’ampia copertura della popolazione. Alcuni funzionari locali si posero una domanda semplice e strabiliante: qual è l’unica cosa che arriva ghiacciata in tutti gli angoli del mondo? La Coca-Cola. Insieme alla Bill Gates Foundation e Accenture, iniziò tra il 2012 e il 2014 una collaborazione tra il sistema sanitario ghanese e la Coca-Cola per l’implementazione della catena del freddo che ha dato risultati molto positivi, portando i vaccini, assieme alle bibite, là dove non erano mai arrivati prima.