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 2016  settembre 20 Martedì calendario

La legge del turnover e gli allenatori cretini

Dopo anni di studi ed esperimenti sul campo, si è giunti a questa conclusione inoppugnabile: il turnover funziona se quello che entra fa gol altrimenti l’allenatore è un cretino. Prendiamo, come ultima dimostrazione della Legge Prima del turnover testé enunciata, Inter-Juve. De Boer inserisce Ivan Perisic al 69’ e il nerazzurro segna di testa al 78’ il 2-1, su delizioso assist di esterno destro, dovendo oltretutto anche dribblare un compagno, di Icardi (uno che se finisse nel turnover chi lo va a dire alla moglie). L’Inter passa da “vergogna” a “pazzesca”, nei titoli, in 72 ore. L’allenatore riceve la laurea in Strategia (laurea breve, brevissima: fino alla prossima sostituzione). Solo tre giorni prima (Inter-Be’er Sheva 0-2) era stato accusato di aver fatto troppo turnover e aveva risposto che ne aveva fatto troppo poco.
Dall’altra parte, invece, Max Allegri inserisce Higuain al 74’ (1-1), l’ex napoletano si permette per una volta di non segnare e Allegri viene condannato dal tribunale popolare per turnover in stato di ebbrezza. E dire che appena 8 minuti prima di giocarsi l’argentino, Allegri aveva sfiorato il Nobel dopo aver visto Lichtsteiner segnare l’1-0 che sembrava proprio Higuain sputato, su quel cross. Tu guarda alle volte. Col Siviglia tutti a dirgli che Pjanic deve giocare dall’inizio, Allegri che replica che Pjanic invece è bravo a entrare dopo, però poi a San Siro lo fa entrare subito titolare e insomma accidenti a chi ci piglia.
È stata la giornata del turnover. A Genova, sale Carlos Bacca dalla panchina al 64’ e all’85’ fa gol: Sampdoria-Milan 0-1, che genio quel Montella. A Napoli, invece, Sarri butta dentro Arek Milik al 61’ (1-1) e quello con una doppietta affonda il Bologna. Ah, il Bologna: la domenica prima col Cagliari Donadoni aveva lasciato in panchina Di Francesco, dopo due gol nell’Under 21. Ma come, per far giocare Verdi? Verdi segna. Di Francesco entra al 67’ e segna pure lui al 74’: grande turnover di Donadoni. Di Francesco titolare a Napoli il sabato dopo: non vede palla.
Gli allenatori italiani sono grandi maestri esportatori di turnover: Walter Mazzarri domenica ha schierato in Watford-Manchester United sull’1-1 all’82’ Camilo Zuniga, terzino. Ora: Zuniga nello scorso campionato di A aveva messo insieme due partite intere. Due. Sette in totale negli ultimi due anni. In Premier fin qui era stato in campo 18 minuti totali. Ci mette più a far colazione. Bene, Zuniga domenica entra e dopo 53 secondi (equivalenti per lui a sei mesi nel Napoli) firma il 2-1 e Mazzarri manda Mourinho ko: come vincere un Motogp col ruotino di scorta della Vespa. “Grande mossa di Mazzarri”, commentano i giornali. Certamente. La studiava da anni.
A un certo punto hanno dovuto inventare la categoria dei titolarissimi, per distinguerli dai titolarini. Il turnover si abbina all’aggettivo “necessario”. Oppure “fisiologico”, se lo prendiamo da un punto di vista scientifico. Bisogna farlo, come la varicella o l’igiene dentale, siamo tutti d’accordo. I club pagano trenta calciatori apposta. Eppure non c’è verso di digerirlo: i giocatori che ne fanno troppo (così non trova il ritmo partita), quelli che ne fanno poco (è stanco, dovrebbe riposarsi: sì ma non questa volta, un’altra), gli avversari (ah ci snobbano), i tifosi (abbiamo pagato il prezzo intero). Ci sono coppie che col turnover si sono rovinate l’esistenza: da Rivera con Valcareggi (Messico 70) a Del Piero con Capello (28 sostituzioni subìte in un campionato: Alex finirà poi anni dopo in India per ritrovare se stesso).
Un modo c’è per individuare al primo sguardo quando il turnover è giusto, il dosaggio azzeccato, è l’unico modo, è facilissimo, è così ovvio che lo hanno già scoperto milioni di tifosi e giornalisti, solo gli allenatori non ce la fanno: basta leggere il risultato della partita alla fine.