Il Sole 24 Ore, 18 settembre 2016
Quella rara biblioteca di Chanel, voluta da Cocteau
Una piccola C a matita in alto a destra rivelava a chi sapeva riconoscerla, l’appartenenza di un libro a Coco Chanel. In questa magnifica esposizione, Culture Chanel alla Ca’ Pesaro di Venezia fino all’8 gennaio, magistralmente curata da Jean-Louis Froment, rivive un aspetto inedito di Chanel, la sua attrazione per i libri. La stilista era un’avida lettrice e uno dei suoi grandi amici, Jean Cocteau aveva incaricato Maurice Sachs, malfidato quanto grande scrittore, di farle una biblioteca di rarità. Generosamente stipendiato, Sachs si era trasferito in un lussuoso appartamento, aveva assunto due camerieri, un segretario e un massaggiatore. Per mantenerli, era stato costretto a sollecitare da Chanel prestiti prima volontari e poi involontari. L’aveva truffata non solo imponendole prezzi assurdi, ma anche facendole comprare come rarità edizioni comuni. Si era guastata così la sua amicizia con quella «strana divinità dotata di forbici e spilli, con sette paia di occhi in grado di guardare da ogni parte e sette mani capaci di tagliare cento modelli divini ogni stagione».
Ma Chanel continuava a leggere avidamente i classici e i contemporanei, anche perché era guidata da un nuovo amore, il poeta Pierre Reverdy. Molto diverso dai bohémiens suoi amici, Reverdy era sempre elegante nei suoi abiti a dopppiopetto con il papillon perfettamente annodato. Il candore dei denti contrastava con il nero dei capelli, la sua cordialità con le ire improvvise che lo scuotevano come temporali. Nato povero come lei, condivideva il suo gusto per l’essenzialità e Chanel lo considerò sempre il maggior poeta vivente.
Ospite nel lussuoso appartamento di Coco nel Faubourg Saint-Honoré, Reverdy era pieno di contraddizioni. Amava il lusso, ma si sentiva a disagio nella cerchia mondana dell’amata ed era capace di alzarsi da tavola senza una parola fuggire, sotto la pioggia, per andare a cercare le lumache nelle aiuole. O per rifugiarsi in cucina dove spesso trovava già Picasso, cui si deve il ritratto La donna che legge esposto a Venezia. Ma Chanel era attratta dalla squisita essenzialità dei suoi versi e dalla sua sete di vita. Lo aiutava discretamente finanziandolo presso gli editori e comprando silenziosamente i suoi manoscritti.
Le oscillazioni di Reverdy lo rendevano un buon amico e un cattivo amante, ma la loro relazione era destinata a durare a lungo ed è a lui che Chanel si rivolse negli anni Trenta per farsi guidare nella stesura delle sue terse, magnifiche massime, sincere fino alla brutalità.
L’altra guida culturale di Chanel fu Jean Cocteau, a lungo viziato dalla stilista che aveva pagato senza battere ciglio l’oppio e le cure di disintossicazione. L’aveva minuficamente ospitato nella sua casa parigina, nelle sue ville e all’Hotel Ritz. Per questo Jean veniva definito dai suoi nemici il suo “gigolò in bianco”. Ma era stato lui a introdurla alle serate indimenticabili del “Boeuf sur le Toit” il locale alla moda da lui lanciato, dove ogni sera si riversava il Tout-Paris. Il jazz ritmava gli incontri di celebrità come Stravinski, Honegger, Aragon, Breton, Cendrars, Brancusi, Drieu La Rochelle, Gide, Claudel. «Ah! – si rammaricava Proust – Come vorrei stare abbastanza bene per andare una volta al cinema e al “Boeuf sur le toit”!». Lì si vedeva un altro suo amico, il giovanissimo Radiguet, autore del Diavolo in corpo, simile a una «meravigliosa civetta dritta, immobile e cieca, sullo sgabello». Quando morì precocemente a ventanni fu sempre Chanel a pagare silenziosamente i suoi funerali.
Ovunque Coco assorbiva idee e atmosfere e Cocteau era uno straordinario battistrada nel fertile trambusto delle avanguardie degli anni Venti. Con assoluta naturalezza lo scrittore l’aveva scelta per creare i costumi di lana e jersey marrone e nero della sua Antigone. «È la nostra migliore sarta e non si può pensare che le figlie di Edipo si vestissero da una sartina qualunque».
Nella sensuale penetrazione dello sguardo di un’altra amica, Colette, l’algida Coco Chanel si rivela un piccolo toro nero, «per l’energia testarda, la maniera di saper fronteggiare, di ascoltare, attraverso quello spirito di difesa che a volte le si barrica sul volto... Il ciuffo scuro, ondulato, appannaggio dei torelli, le ricade sulla fronte fino alle sopracciglia e danza di concerto con la testa».
Capriccioso, Cocteau, che a sua volta l’aveva soprannominata “il cigno nero”, si era rifiutato di fare entrare Coco nel camerino, dopo la rappresentazione dei Parents terribles, perchè alle tre del mattino la sarta aveva risolutamente rifiutato di elargirgli i franchi necessari per lo spettacolo. Per convincerla aveva minacciato vanamente di suicidarsi, ma Coco detestava i ricatti.
Secondo un altro suo amico, Salvador Dalì, Chanel «non mostra e non cela le sue idee: le veste. Gli abiti assumono, in lei, un significato biologico di modestia, una violenza mortale, fatale: è un significato tragico, non cinico. E, soprattutto, Chanel è la creatura che possiede l’anima e il corpo meglio vestiti del mondo».