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 2016  settembre 18 Domenica calendario

In Norvegia ci sono le carceri più umane del mondo e il tasso di recidivi è il più basso

Quando si parla di prigioni, almeno nell’ambito di Stati democratici e industriali, i poli opposti sono sempre due nazioni, da anni: gli Stati Uniti e la Norvegia. Sui problemi del mondo carcerario statunitense si è scritto molto: basti ricordare il suo tasso di incarcerazione, il più alto di tutti, con 693 detenuti per ogni 100mila residenti. Un sistema in cui al 5 per cento degli abitanti mondiali corrisponde il 25 per cento della popolazione carceraria globale. E con recidiva molto alta: il 76,6 per cento dei prigionieri viene di nuovo arrestato entro cinque anni.
A fronte di questa situazione disastrosa, sono fioriti negli anni molti studi e inchieste, da parte americana, sui sistemi adottati da alcuni Paesi europei. Tra questi ovviamente la Norvegia, le cui prigioni sono ormai famose in tutto il mondo per la loro umanità – qualcuno storcerebbe magari anche il naso parlando di comfort. Ma il fatto è che quando i detenuti norvegesi lasciano il carcere, ne restano fuori più di altri. Se il tasso di incarcerazione è del 75 per 100mila abitanti (in Italia è 89), la recidiva è tra le più basse al mondo: sul 20%. Il sistema norvegese è difficilmente replicabile per molte ragioni – di scala, di condizioni sociali di base – ma alcune sue scelte sono guardate con interesse: ad esempio l’approfondito training riservato alla polizia penitenziaria, due anni di scuola pagata in cui si insegna criminologia, psicologia, diritti umani, legge, etica. Ogni detenuto in Norvegia viene affidato a un agente che ha il ruolo di aiutarlo in tutto l’iter carcerario e a connetterlo con una serie di istituzioni esterne alla prigione.
Altri studi citano come esempi la Danimarca e la Germania e l’enfasi posta su riabilitazione, training, risocializzazione nonché sui servizi alternativi al carcere. Più della metà dei detenuti partecipano a corsi di formazione, considerati uno degli elementi cruciali per la reintegrazione di chi ha scontato una pena. E infatti in Germania la recidiva fino a qualche anno fa si attestava sul 33 per cento.
Malgrado alcuni studi compiuti in Gran Bretagna mostrino che finanziare educazione e training nelle prigioni faccia rientrare di due volte l’investimento fatto, in termini di costi e benefici, la qualità e la disponibilità di corsi di formazione in molti Paesi europei resta ancora bassa. Allo stesso modo, gran parte del lavoro svolto in prigione non è qualificante e non aiuta la riabilitazione. Da questo punto di vista ci sono Stati che hanno fatto scelte drastiche e controverse: l’Austria ad esempio obbliga i detenuti a lavorare. Il 75 per cento della paga è trattenuto come contributo al costo della carcerazione. Il resto va al detenuto, ma una metà è comunque accantonata per quando esce. In compenso sono offerti molti corsi di formazione certificati. Il ministero della Giustizia austriaco ha anche un sito web dove mette in vendita prodotti e articoli artigianali realizzati dai detenuti.