Corriere della Sera, 18 settembre 2016
Mattarella ricorda Ciampi e «quella volta che salvò l’Italia dalla bancarotta»
Signor presidente, qual è il suo primo ricordo di Carlo Azeglio Ciampi? Quando lo incontrò per la prima volta, che impressione ne ebbe? Quale tratto del suo carattere la colpì maggiormente? In che cosa lo sentiva vicino alla sua sensibilità?
«Il mio primo ricordo è di Ciampi governatore della Banca d’Italia, e in questa sua veste l’ho incontrato per la prima volta, un trentennio addietro, quando ero ministro per i Rapporti con il Parlamento. Incontrandolo si avvertiva immediatamente la sensazione della sua autorevolezza, naturale, non costruita. Era inevitabile apprezzarne la chiarezza delle analisi e delle proposizioni, la sua serenità nel considerare le varie proposte avanzate. Allo stesso tempo colpiva la fermezza nel difendere la solidità della moneta e nel garantire la tutela dei risparmiatori. Insomma, ne ho sempre ammirato – e condiviso – il forte senso delle istituzioni e la responsabilità che ne consegue nei comportamenti concreti, in qualunque circostanza, semplice o difficile».
Lei ha avuto modo di lavorare fianco a fianco con Ciampi nella stagione in cui foste insieme al governo, tra il 1998 e il ‘99: lei da vicepresidente del Consiglio e Ciampi al Tesoro.
«Nei sei mesi di quel comune impegno di governo non ricordo una sola volta, nelle discussioni in Consiglio dei ministri o in altre occasioni, in cui non mi sia trovato d’accordo con Ciampi. D’altronde era, nel governo, un punto di riferimento per tutti e lo dimostrava la pacatezza e la capacità persuasiva con cui conduceva a condividere le sue ragioni. Ricordo, ad esempio, il tema controverso della riforma delle fondazioni bancarie, ben preparato con riunioni preliminari e magistralmente condotto in porto in Consiglio. Il periodo più lungo e intenso di collaborazione con il presidente Ciampi è stato, per me, da ministro della Difesa. Ovviamente, anche per la sua veste di presidente del Consiglio supremo di difesa e per il ruolo di comando delle Forze armate, aveva una grande ed effettiva attenzione ai compiti, alle attività e ai problemi della Difesa. Lo faceva sempre con molto rispetto per le attribuzioni del governo ma la sua costante vicinanza era preziosa come orientamenti e rassicurante come sostegno. Vi si rifletteva, del resto, la visione che lo ha condotto a recuperare, nella nostra Italia, un più diffuso e condiviso senso di Patria e il desiderio che la società si ritrovasse unita nella vita quotidiana. Da questa esigenza è nata la sua iniziativa di ripristinare la sfilata del 2 giugno: ero accanto a lui, nella vecchia Flaminia, quando vedendo la grande quantità di nostri concittadini, intervenuti con entusiasmo, non nascondeva la commozione nel trovar la conferma di aver incontrato, con quella decisione, un condiviso sentimento popolare».
Quello fu tra l’altro il periodo nel quale si tentò, attraverso la Bicamerale, di costruire una grande riforma. Per inciso, di fronte a chi allora vagheggiava l’elezione diretta del presidente della Repubblica, lei sostenne un punto di vista diverso affermando che «il capo dello Stato è già in grado di incidere nella vita politica del Paese e deve avere un forte potere di arbitraggio e garanzia, ma non governare». Rammenta come la pensava Ciampi, al riguardo?
«La miglior risposta a questa domanda è fornita dalla lezione di Ciampi al Quirinale: la sua misura, il suo equilibrio nell’assolvimento dei compiti affidati al presidente della Repubblica, costituiscono un’interpretazione puntuale del ruolo di arbitro che gli è affidato dalla Costituzione».
Nelle sue esperienze – Bankitalia, governo, Quirinale – Ciampi ispirò il suo ruolo alla «religione della libertà» ponendosi l’obiettivo della massima coesione sociale del Paese.
«Il presidente Ciampi è stato, nelle istituzioni che ha guidato, protagonista di momenti di svolta nella vita del Paese. Più di ogni altra, la cifra della sua vita va rinvenuta nel valore della rettitudine e del rigore morale, nello spirito di servizio nelle istituzioni. Nella scelta di campo dopo l’8 settembre 1943, nel rigore professionale, nell’autonomia e indipendenza di giudizio, nel distacco da interessi particolari e gruppi di potere. Virtù di un italiano che ha fatto, appunto, della religione della libertà, il suo punto di riferimento. Il suo senso della realtà lo portava a un confronto esigente tra la direzione da imprimere alla storia e le condizioni concrete del Paese e della sua popolazione. Così si comprende anche l’ideale di socialità che ha sempre ispirato le sue azioni».
Ciampi è stato una «riserva della Repubblica» da mettere in campo in momenti di svolta nella vita del Paese: lei ha osservato a caldo che gli italiani non lo dimenticheranno.
«La straordinaria, brillante biografia del presidente Ciampi ne ha disegnato perfettamente il ruolo di “civil servant”. Dopo la guerra e la Resistenza, ha trascorso ben 47 anni alla Banca d’Italia, percorrendone tutti i gradini fino alla nomina a Governatore, avvenuta in un momento particolarmente difficile per la nostra banca centrale. Quando, nella primavera del ’93, il presidente Scalfaro decide di chiamarlo a Palazzo Chigi e si forma il governo Ciampi, l’Italia attraversa uno dei momenti più drammatici della storia recente, tra inchieste giudiziarie, delegittimazione della dirigenza politica, attentati di mafia e rischi di destabilizzazione della lira. La risposta del governo “tecnico” di Ciampi fu felicemente molto “politica”: non soltanto salvando il Paese dalla bancarotta, ma affrontando i problemi del momento, raggiungendo un accordo tra le parti sociali e permettendo il varo della nuova legge elettorale, assicurando così una transizione pacifica verso nuovi assetti politici, richiesti con evidenza dal referendum popolare».
Insomma, non si è mai tirato indietro.
«Sì, non si è tirato indietro neppure quando venne chiamato per il ruolo di ministro del Tesoro nei governi Prodi e D’Alema, ponendo il suo prestigio e la sua competenza nuovamente al servizio del Paese, in un frangente delicatissimo e cruciale come quello della decisione del passaggio dalla lira all’euro. La sua elezione al Quirinale avvenuta al primo turno e con amplissima maggioranza è stata la testimonianza della stima e dell’affetto che la sua figura riscuoteva in Parlamento e nel Paese. Al Quirinale ha dimostrato non distacco ma imparzialità, contribuendo a riavvicinare, forte di una popolarità crescente, i cittadini alle istituzioni e ai simboli repubblicani. E accrescendo il prestigio del nostro Paese all’estero. Per questo gli italiani lo ricorderanno con affetto e riconoscenza».